La grotta è il luogo del buio assoluto, ma è anche - nella cultura mesopotamica - il luogo dove si trova celata la fonte primaria della vita, un immenso oceano sotterraneo che alimenta tutte le fonti d'acqua terrestri, protetto dal dio Apsu. I brani prendono il nome da antiche divinità, in un susseguirsi di trame sonore che tracciano un percorso da concept-album. Dall’inizio tipicamente dark-ambient di “At The Entrance To The Cave”, con cori sinistri e ambientazioni cinematiche, si giunge a “Fear Of Stones”, che aumenta l’aspetto psicologico di paura e angoscia. Il fascino è indubbio.
Ma il brano più importante e originale è il terzo - dedicato all'antico mostro mesopotamico “Kulullû” - che si arricchisce di arpeggi di arcaici strumenti a corde (in questo caso la gusla, strumento popolare a corda singola usato nei Balcani, che ha origini antichissime, probabilmente bizantine) e note basse di piano in sottofondo. Difficile immaginare atmosfere più sinistre richiamanti le paure più ancestrali dell'uomo (l'oscurità, l'incontro col soprannaturale, l'esplorazione di luoghi ignoti).
“Apsu”, il dio dell’immenso oceano sotterraneo, aggiunge delicate voci femminili; l’oceano dona agli uomini le basi per la vita, ma il canto sembra più ammaliare che concedere vere tregue. “The Subterranean River” è ancor più minimale, con rumori di flussi d’acqua e litanie di antichi sacerdoti pagani intenti in pratiche magiche.
Si chiude con “Epilogue”, probabile uscita dalla caverna, una sorta di “riveder le stelle” con nuovi arpeggi e canti ben poco rassicuranti.
(26/08/2018)