L’ennesima incursione nel revival shoegaze da parte dei giovani russi Pinkshinyultrablast si giustificava, per “Everything Else Matters” (2015) e il già meno sentito “Grandfeathered” (2016), nella passione, la grinta esecutiva, e un’innegabile originalità (sentire, nell’ordine, “Wish We Were”, “Marigold”, “Umi” e “Glow Vastly”). Molto meno accettabile, anche se capibile col senno del marketing, è il voltafaccia del terzo “Miserable Miracles”.
Album anzitutto bislacco. Il meglio viene alla fine, con “Looming”, un discreto estratto dei dischi predecessori (forse uno scarto). Il brano è anche un modello d’influenza negativa per quanto lo precede: il combo disattiva la distorsione dinamitarda fin qui maneggiata, la muta in carezza elettronica per caricarla, confusamente, o di muzak dream-pop (timbri eterei, battito ballabile) o di pretenzioso ambient isolazionista (gli strumentali “Blue Hour” e “Earth And Elsewhere”, fuori contesto).
Le influenze sono rimpiazzate bruscamente: A-ha (“Triangles” somiglia davvero troppo a “Take On Me”) e altri della cricca synth-pop vecchio stile. L’unica davvero ispirata, “Find Your Saint”, è anche tediosa. Della loro autodefinizione thunder-pop non è rimasto più molto “thunder”. “Eray” e “In The Hanging Gardens” sono le più emblematiche del problema, l’indecisione tra discoteca e cantautorato elettronico.
Ridotti a trio, cantante (Lyubov), chitarrista (Roman) e producer (Rustam), in stile Xx, e il colpo s’accusa in termini d’autoindulgenza. Giostrato con sicuro e anonimo mestiere d’arredatori, rimane sciatto e piatto, privo di refrain convincenti e ritmi acchiappanti, con un sound certamente pulito ma pure innaturale, come sotto psicofarmaci. Qualche buon effetto di tastiera non lo riscatta. Ultimo ma non ultimo: si tenga alla larga chi detesta le vocine femminili gnaulanti più tipiche dell’indie.
08/06/2018