Nella continua ricerca di una forma d’arte che sfiori la purezza, Scott Matthews ha affrontato tutte le possibili dicotomie tra estetica e autenticità, spesso abiurando alle lusinghe della forma, privilegiando il carattere introspettivo e autenticamente popolare della musica folk e rock. Un’onestà intellettuale mai baciata dalla notorietà, quest’ultima spesso schivata dal musicista inglese, a dispetto di premi illustri come l’Ivor Novello, la collaborazione con Robert Plant, e le sparute apparizioni come open act per Foo Fighters e Rufus Wainwright.
Con il sesto album in studio, Matthews mette definitivamente radici nel folk inglese, soprattutto nel raffinato virtuosismo di Bert Jansch e nel visionario eclettismo di John Martyn. Il suono è ora ruvido e polveroso, ora limpido e cristallino, in un intreccio di realtà e fantasia che lascia stupiti, nonostante la familiarità dei suoni e delle soluzioni strumentali. “The Great Untold” prosegue nel solco di “Home Part 2“, scarnificando ancor di più gli arrangiamenti e lasciando in balia di chitarra e voce il corpo lirico delle dieci tracce, mentre piano, armonica, percussioni e synth si insinuano con delicatezza e garbo, senza mai alterare l’apparente calma che fa da sfondo.
Le citazioni di Jeff Buckley e Nick Drake, che hanno in passato sottolineato il profilo artistico del cantautore di Wolverhampton, sono indicative ma non esaustive. C’è infatti l’intensa progressione armonica di Paul Simon nella contemplativa e dolente “Lawless Star”, e perfino la drammaticità del giovane Thom Yorke nella deliziosa melodia di “Silence”.
E’ un disco fortemente emotivo, “The Great Untold”, ma mai enfatico, il pathos è più affine alle raffinate atmosfere da crooner di Richard Hawley (“Something Real”), alla sensualità ispanica (“As The Day Passes”) o a quella più viscerale del soul e del blues che infine divampa nell’eccellente “Cinnamon”: una canzone sulle sensazioni post-coitali e sul valore taumaturgico del sesso.
Stupisce e incanta l’opulenza armonica di canzoni così fragili ed eteree, come la title track, dedicata all’arrivo in famiglia del piccolo Elliott, la semplicità toccante di “Goodnight Day” e la discrezione quasi schiva di “Song To A Wallflower”: altri importanti tasselli di un album che ad ogni ascolto suona come una continua scoperta. Per chi ha dimestichezza con la musica di Scott Matthews, sarà confortante scoprire che nulla dell’originario candore è andato perduto, la maturità non ha intaccato l’integrità artistica del musicista inglese, il quale attraverso l’album più intimo e personale (registrato e prodotto in completa autonomia), offre la sua personale via di fuga dalle angosce quotidiane, con una malinconia lirica e armonica sempre garbata e mai preda della depressione (“Daydreamer”).
Alla fine, “The Great Untold” è un disco poco ruffiano e volutamente privo di momenti esaltanti: Matthews mette a nudo la sua essenza di autore folk contemporaneo lasciando che sia infine la musica a parlare per sé. Non è infatti un caso che a chiudere l’album sia l’avvolgente valzer di “Chapters”, una ballata dal forte impatto emotivo accordata con slide e armonica. E se anche quest’ultima traccia non riuscirà a scaldare la vostra anima, sarà forse il caso di chiedersi: "Cosa ho che non va?".
05/07/2018