Diluite e avvolte da echi e riverberi, le tracce prendono vita dalle ceneri degli originali, sacrificando ora il ritmo, ora dettagli strumentali che sembrano aver smarrito il loro significato originario. E’ come se i Cobalt Chapel avessero immerso le loro creazioni in una pentola di acido lisergico, incuranti delle sembianze minacciose e spettrali di queste nuove-non-nuove creazioni.
Il duo in verità aveva già provato a reinventare alcune canzoni: le grazie di “Horratia” erano state oggetto di alterazioni elettroniche futuristiche (“Horratia - Maps remix”). Quello che invece caratterizza la nuova chiave di lettura di “Horratia (Variant)” è un’ossessiva cacofonia che stempera il fascino più istintivo, lasciando spazio all’immaginazione e alla trance psichedelica.
Nel mettere a nudo l’anima delle nove tracce (quattro delle tredici del primo album sono assenti) viene svelato più di un lato nascosto delle stesse: “Who Are The Strange (Variant)” è ancor più criptica dell’originale; un’orda di synth stravolge il dondolante folk-prog di “We Come Willingly (Variant)”, smembrando e cancellando il tono percussivo; viceversa, “Black Eyes (Variant)” non rinuncia alle trame ritmiche, ma sono flussi elettronici e non percussivi quelli che reggono in piedi il vorticoso groove.
Conserva i tratti principali la nuova versione di “Fruit Falls From The Apple Tree (Variant)”, il brano forse più pop del repertorio del duo, qui reso cupo e onirico dal suono di una fisarmonica. Allo stesso modo l’organo catapulta “The Lamb (Variant)” nella retorica gothic cinematografica, elevandone la potenza drammatica e descrittiva.
In queste varianti c’è più spazio per la voce di Cecilia Page, protagonista in primo piano della ipnotica ninna nanna di “Singing Camberwell Beauty (Variant)”, o al contrario puro strumento nella fiabesca “Two (Variant)”, due episodi tra loro diversi che hanno il pregio di evocare le glorie di band come Mellow Candle, Trees e le magie del Canterbury Sound. Infine, i quasi dodici minuti di “Positive Negative (Variant)” sono una delle digressioni psichedeliche più belle di questi ultimi anni: i cinque minuti originali sono diluiti al suono di tamburi oscillanti, armonie multistrato a base di tastiere ed effetti vocali, o echi folk che perdono la loro connotazione terrena, trasportando l’ascoltatore in una dimensione cosmica intensa e straniante.
A dispetto delle attese, “Variants” non è un album di remix. E' al contrario un disco intrigante, ricco di sviluppi e promesse per il futuro della band, un autentico colpo di classe di due musicisti dotati di raro talento.
(09/04/2019)