Probabilmente non ci sarebbe bisogno di introdurre Josh Davis, in arte DJ Shadow, autore di uno dei massimi capolavori di sempre dell'hip-hop (l'esordio "Endtroducing....." del 1995) e poi di una deludente carriera discografica in cui non è mai più riuscito a ripetersi anche solo in parte. Il suo ultimo lavoro si intitola "Our Pathetic Age" e dal titolo sembra lasciar trasparire un certo nichilismo. L'artista americano ha però voluto specificare che, nonostante il titolo, l'album è vibrante e carico di speranza.
Il concept consiste infatti in una critica sociale, un monito verso le continue fonti di distrazione e assuefazione dell'attuale sistema che, secondo Davis, rende le persone arrabbiate, confuse e disilluse dalle istituzioni governative. La copertina in tal caso è emblematica, illustrando il fumetto di una donna che osserva lo schermo del proprio smartphone. Più che offrire soluzioni ai problemi esposti, Davis nelle canzoni intende alternativamente offrire conforto oppure osservare la situazione e descriverla senza intervenire. Onestamente la tematica di fondo, però, non sembra sia stata approfondita granché, al di là del puntare il dito genericamente contro i telefonini, il controllo telematico e l'abuso delle tecnologie.
Il disco è diviso in due parti. La prima è quella prettamente strumentale, che tenta di operare un recap dei vari momenti della discografia di DJ Shadow, aggiornando il tutto agli umori e alle tendenze di questa fine del 2019 e del decennio. Purtroppo, il risultato è lungi dall'essere riuscito appieno, apparendo piuttosto come una raccolta disomogenea di idee abbozzate e incise come venivano. In generale, questa prima metà ha il maggiore collante nelle atmosfere generali, notturne e malinconiche, e questo permette occasionalmente di fornire spunti interessanti.
Ma si tratta sempre di cercare piccoli elementi positivi in qualcosa di deludente, piuttosto che nei in un buon disco. Se, ad esempio, i grezzi giochi di tastiera di "Firestorm" e il piacevole rap a capella di "Rosie" danno l'idea di un Davis che basa le proprie composizioni solo su una o due idee buone ma appena sviluppate, si trova maggiore consistenza in "Weigthless" (un mix di riempimenti ambient, trap, bassi shoegaze e Idm) e nelle atmosfere corpose di "My Lonely Room" (evocativa e fumosa). Tuttavia, risaltano soprattutto perché il resto non offre molto.
La conclusiva "We Are Always Alone" è potenzialmente il brano più toccante e pregno di emozioni, ma il tema sonoro viene ripetuto troppo, sfiorando la monotonia. Se "Our Pathetic Age" si fermasse qui, sarebbe un lavoro di un'incompiutezza non indifferente e molto diluito.
La seconda parte vede l'ingresso di una nutrita schiera di ospiti, come ormai da tradizione da qualche album a questa parte, ed è invece più convincente. La forte dipendenza dagli interventi "esterni" e dal turntablism, idealmente, fa sembrare questa metà di "Our Pathetic Age" più legata a "The Outsider" del 2006 che al precedente "The Mountain Will Fall". Il rovescio della medaglia è la sensazione che Davis non sia più in grado di comporre qualcosa di valido da solo e abbia necessariamente bisogno di collaborare con qualcuno per limare le idee, svilupparle e rifinire il tutto in maniera più variopinta e robusta. La produzione rimane la miglior freccia nella sua faretra.
I suoni caustici ed effettati di "Drone Warfare", l'electro-hop "Rain On Snow" (con una voce femminile che sembra uscita da "Londinium" degli Archive su beat aggressivi e tripli attacchi rappati), le note dolenti e soffuse di "Dark Side Of The Heart" (con una magistrale interpretazione di Fantastic Negrito), i giocosi gorgheggi e i corni di "Rocket Fuel" (merito del contributo dei De La Soul), il synth-pop lounge della title track (con Samuel Herring dei Future Islands) sono tra le migliori performance dell'album, e il risultato complessivo è più che discreto.
I punti deboli sono minori, e consistono principalmente nel non avere sviluppato a sufficienza certe idee (come l'emozionante tensione di "C.O.N.F.O.R.M.", fin troppo breve, o "JoJo's Word", che sembra stia per esplodere senza mai effettivamente riuscire a farlo).
Un altro elemento negativo di "Our Pathetic Age" è la lunghezza del tutto, che tende a rendere l'ascolto estenuante. Ma si potrebbe saltare la prima metà, tranne qualche singolo episodio gradevole, e concentrarsi sulla seconda, che a parte un paio di parentesi sottotono è decisamente meglio sviluppata.
02/12/2019