In verità, le torturate sonorità di synth, tamburi e voci di “We Keep It Light” per un breve attimo creano una tensione viscerale ma, nonostante le enigmatiche pulsioni minimali di “En Garde”, la prevedibilità è dietro l’angolo. Le atmosfere dark sembrano funzionali solo alla volontà di mascherare la volatilità della scrittura (“Jenny Dreams Of Pies”, “Fawn”), né convincono le distrazioni sperimentali di “Celibate” e “Gold”, pur se va riconosciuta ai due protagonisti una padronanza degli elementi sonori messi in gioco.
La musica dei Good Fuck è complessa più nelle premesse che nell’effettiva risultanza creativa, anche se lo svolazzo di morbidi synth, tabla e voce sensuale di “Spring Song” e l’artificioso sgretolamento vocale di “Saint Francis” consegnano un paio di interessanti canovacci creativi per le future gesta di Tim Kinsella (nel frattempo è stato pubblicato anche un vinile in 300 copie sempre a nome Good Fuck intitolato “Cherry Tree”).
Per tutti gli appassionati dei vari progetti del musicista di Chicago (Cap'n Jazz, Joan of Arc, Owls, Make Believe, Everyoned etc.), questa nuova avventura in salsa post-sexual rappresenta un’altra ghiotta occasione per assaporarne l’intelligente metamorfismo sonoro; questo a discapito di un’attenta analisi che riesca a individuarne i punti deboli, ovvero sonorità datate (“En Garde”, “Shadows”), concessioni alla dance più becera (“Physics”) e una malcelata presunzione artistica che incomincia a mettere in evidenza qualche crepa.
(03/11/2019)