Fateci caso: a intervalli più o meno regolari della storia musicale statunitense, tende a ripresentarsi una fase in cui il Texas dà di matto e inizia a vomitare scene tra le più fuori di testa del paese. Il caso più eclatante rimane la scatenata bolgia psichedelica di metà 60 (non parliamo solo di 13th Floor Elevators e Red Crayola, ma anche di Moving Sidewalks, Kenny and the Casuals, Fever Tree e tanti altri guasconi con le sinapsi bruciate), mentre è ancora troppo poco celebrata l'impressionante orda punk che, sin dalle origini, ha terrorizzato i benpensanti del sud. Vomit Pigs, Skunks, MDC, Dicks, Big Boys, Really Red: che si tratti di proto o hardcore, il punk texano si è sempre distinto per originalità e carica oltraggiosa. Se per quantità e qualità la California rimane lo Stato che più ha contribuito alla causa, il suo ingombrante vicino le tiene le zanne ben conficcate nei polpacci.
Tra i primi e più selvatici teppisti locali si segnalano di prepotenza gli Hates, dritti dritti dalla capitale Houston con quattro crestoni da far invidia ai GBH. Nati per volontà del cantante Christian Arnheiter nel 1978, esordiscono l'anno dopo con l'Ep "No Talk In The Eighties", cui ne seguono altri due prima del primo e ultimo Lp "Panacea", registrato e mixato in due giorni nel 1982. Lesti e demenziali quanto inclini alla sperimentazione, in questo supersonico quarto d'ora danno prova di una personalità che va ben oltre quel look sfacciato, sparando la fantasia sfrenata dei Minutemen alla velocità folle dei Bad Brains.
Se la cover di "Houston" di Lee Hazlewood è un anthem a presa rapida in odor di Circle Jerks, i ragazzacci si dimostrano altresì capaci di spigolosi gangli post-punk ("Nuclear Age", "Cut The Shit"), poliritmie da infarto ("Also Watched") e tossiche decelerazioni (una "This Year's Model" che non è quella di Elvis Costello), tutto spazzato via dalla sfuriata finale di "What Am I Living For?", agghiacciante apologo sul vuoto morale di una generazione, tranciata di netto come se il mondo finisse in quel momento.
L'album avrà una gestazione travagliata: basti dire che vinile, copertina e lyric sheet saranno stampati ciascuno da un'etichetta differente e poi assemblati in casa dal gruppo, che si disgregherà di lì a poco. "Panacea" sparirà quindi dalla circolazione, prima di essere recuperato in questa ristampa rimpolpata con quattro inediti. Da tracannare tutta d'un fiato per riassaporare i fasti di quella putrida Mesopotamia creativa che è stato il Texas borchiato.
03/05/2019