Quella data riportata sul retro copertina, 2011, non è un errore grafico o una svista dell'etichetta. "She Darks Me" ha, infatti, atteso ben otto anni prima di venire alla luce in formato fisico, abbandonato negli archivi digitali senza un'apparente ragione. Joe Chester lo aveva registrato mentre girava gli States con Gemma Hayes e collaborava con i
Waterboys alla realizzazione, e al susseguente tour, di "An Appointment With Mr Yeats".
Il successo critico del quinto album "The Easter Vigil" ha convinto il produttore e musicista irlandese che era giunto il momento di pubblicare il tassello mancante di una produzione discografica inaugurata nel 2005 con "A Murder Of Crows". "She Darks Me" ha tutti gli ingredienti necessari per un perfetto album pop, l'eleganza melodica è affine ai
Fleetwood Mac era "
Rumours", la tensione emotiva ha il pathos dei
Waterboys (tra i musicisti figurano Trevor Hutchinson e Steve Wickam) e anche l'unica
cover version, è non solo splendida ma perfino coraggiosa, avendo Joe coinvolto l'armonicista Mickey Raphael (gia alla corte di
Willie Nelson) per una rilettura intelligente e vibrante di "Most Of The Times" di
Bob Dylan.
Chester è un artista consapevole del difficile riscontro nelle classifiche di una formula pop poco incline al mainstream e al fascino mordi e fuggi di molta musica contemporanea. Ma come dimostrato nel piccolo miracolo del 2017, c'è ancora spazio per chi sa aspettare il giudizio del tempo: la trasognante semplicità di "The Middle Distance", l'incisivo
refrain di "Napoleon Bonaparte" e la perfezione di "Acid Rain" sono la prova tangibile che c'è ancora spazio per il buon gusto e l'arte del
songwriting anche nel fragile mondo della musica pop.
Ad onor del vero, la natura estemporanea di "She Darks Me" in parte attenua la resa finale di un disco, a tratti poco ardimentoso e innovativo negli arrangiamenti, ma resta comunque una buona occasione per conoscere il talento di Joe Chester. Astenersi
rocker incalliti e appassionati della sperimentazione.