Per Andy Cabic è tempo di abbracciare nuove filosofie, o forse di svincolarsi definitivamente dell’ingombrante ruolo di moderno druido del verbo etno-folk.
Molto probabilmente, durante il percorso artistico intrapreso nel 2004 con i Vetiver, il musicista deve aver incrociato il principio del rasoio di Occam, prediligendo la semplicità del folk-pop alle più articolate strutture dell’alt-folk.
Il rischio per la band è, a questo punto, quello di affidare tutte le gioie e i dolori della loro musica alla scrittura e all’intensità emotiva del prevedibile mix elettro-acustico.
“Up On High” mira a una compattezza e a una linearità che profuma di anni 70,
Paul Simon,
Cat Stevens,
Jackson Browne e
Neil Young sono i referenti stilistici dell’ennesima svolta della band di Cabic, già parzialmente accennata nel pur incerto “The Errant Charm”.
E’ illuminante la scelta dei Vetiver di affidare le nuova gesta all’etichetta Loose, che in catalogo offre spazio ad artisti che affondano le loro radici nella tradizione country e folk (
Courtney Marie Andrews,
Israel Nash,
Native Harrow).
Le atmosfere rilassanti e concilianti di “Up On High” non lasciano spazio ad ambizioni intellettuali, la genuinità armonica diventa unica depositaria dell’ultima mutazione sonora. Cabic corteggia l’
easy listening senza alcun pudore (“All We Could Want”), superando i confini del folk-pop con un’iniezione di funky-soul-jazz che seduce e accarezza (“Hold Tight”).
E’ rassicurante e confortevole, “Up On High”, ricco di melodie apparentemente innocue che pian piano diventano piacevolmente familiari (“A Door Shuts Quick”, “The Living End”, la
title track), a tratti avvincente come un buon vecchio album country-rock, tra accenni blues (“To Who Knows Where”) e ritornelli ariosi che suoneranno graditi ai fan di
Tom Petty (“Wanted, Never Asked”) o dei
Rem (“Swaying”), senza però risultare derivativi.
Strano a dirsi, ma sembra che Cabic sia a proprio agio in questa versione semplificata dei Vetiver: brani come “Filigree” e le già citate “A Door Shuts Quick” e “Wanted, Never Asked” rappresentano la miglior sintesi delle qualità di scrittura del musicista. Peccato che dietro questa raffinata semplicità s’intravedano delle piccole crepe, che in quest’occasione restano in sottofondo ma che in futuro potrebbero venire in superficie minando la stabilità raggiunta con “Up On High”.
Nel frattempo abbracciamo insieme ai Vetiver la dottrina del rasoio di Occam, beneficiando di questi quaranta piacevoli attimi in musica e lasciando al futuro eventuali elaborazioni critiche.