Il solito cappello di cotone doppio ricamato, le guance paffute, i lunghi capelli impolverati d'argento dagli anni. Ormai più di cinquanta. Il tempo passa, ma a guardare le foto promozionali, Damon Gough sembra sempre più o meno lo stesso di sempre. Il solito ragazzo disegnato male; per citare lo pseudonimo che non ha mai smesso di indossare da quando, sul finire degli anni 90, ha intrapreso una delle esperienze cantautoriali più simpatiche di cui abbiamo recente memoria.
"The Hour Of Bewilderbeast" fu un inizio di carriera sgargiante, che forse puntò su Damon riflettori più luccicanti di quanto potesse sopportare, mentre il successo globale arrivò già al secondo colpo. Con l'iconica colonna sonora dell'indimenticabile British cult di inizio millennio "About A Boy" (Hugh Grant in gran spolvero nei panni di un dolce burbero scritto da Nick Hornby), a conti fatti migliore del film stesso.
Per tutto il decennio il ragazzo si fece sentire a intervalli regolari di due o tre anni. Con dischi sempre piacevoli, ma mai all'altezza delle prime due prove, per poi scomparire quasi una decina d'anni dopo aver, era il 2012, licenziato la colonna sonora del poco riuscito "Being Flynn".
È stata dunque una discreta sorpresa vedere annunciato questo "Banana Skin Shoes".
Sin dalla copertina, un gioioso patchwork di sogni da cameretta (le scarpe di pelle di banana del titolo, mongolfiere, ruote panoramiche, astri e navicelle spaziali), è chiaro che la ricetta del Nostro non è cambiata. Il ragazzo non aveva intenzione di rinnovarsi, cambiar pelle o vestiti, soltanto di tornare. E così, dopo due minuti di stramberie à-la Beck (paragone che accompagna Badly Drawn Boy sin dagli inizi) che rispondono al nome della title track, ecco fluire melodie e parole che, semplici e limpide, diventano l'indie-pop del ragazzo disegnato male che conosciamo. Che ci era mancato da morire.
Non c'è bisogno di metafore difficili in queste canzoni, come non ce n'era nel 2000. I sentimenti vengono rivelati nudi e crudi, goffi, così sono ancora più teneri ("I Just Wanna Wish You Happiness", "You And Me Against The World", "I'll Do My Best"). Timidi, scomposti. Si può anche ballare. Al ritmo estivo e scintillante di "Tony Wilson Said" a quello delle trombe di "I Am Not Sure What It Is" o mimando i Belle And Sebastian più spigliati ("Colours").
Certo, in alcune occasioni prende il sopravvento la malinconia ("Funny Time Of The Year", "Never Change"), ma molto meno che in passato. Sarà l'età che porta pace, consiglio e meno tempo da sprecare tenendo il broncio.
Per un buon primo terzo, il disco è una bomba, non perde un colpo, quasi ci fa sperare in un "The Hour Of Bewilderbeast" 2.0. Poi perde d'intensità, si dilunga un po' troppo o gioca troppo facile (l'arrangiamento d'archi un po' da mercato delle pulci di "I Need Someone To Trust").
La gioia e l'euforia dell'incontro, del ritrovarsi dopo tanto tempo non svaniscono però con gli ascolti, segno che alcune di queste canzoni sono davvero destinate a rimanere.
30/05/2020