Mai davvero famoso in Italia (se non negli ultimissimi anni), il trio Biffy Clyro, di stanza a Glasgow, in patria è considerato un live act imperdibile, quasi alla stregua di Muse e Kasabian. Non solo i tre hanno una potenza di fuoco rara per una formazione così ristretta, ma in diciotto anni di uscite discografiche, appannatesi invero solo negli ultimi tempi, hanno costruito un canzoniere alternative rock di tutto rispetto, che annovera brani massicci e potenti, ma anche ballate con le lacrime agli occhi. Insomma, tutto quello che si può chiedere a una formidabile macchina da concerti.
Quinta (e per chi vi scrive migliore) fatica della band, “Only Revolutions” del 2009 sancì un maggiore successo di pubblico della band addobbando di orpelli sinfonici le bordate alternative rock di Simon Neil (chitarra e voce) e dei gemelli James e Ben Johnston (rispettivamente basso e batteria). Fu l’apice di un percorso coerente e consistente, che con i due successivi capitoli sembrava aver imboccato una pericolosa china. Il lunghissimo “Opposites” del 2013 non reggeva la durata e l’ambizione del progetto, mentre “Ellipsis” del 2016 provava a recuperare la tagliente secchezza dei primi tempi, toppando però completamente a causa di una scrittura imbolsita.
Con queste premesse, un disco fresco e variegato come “A Celebration Of Endings” non può che rappresentare una piacevole sorpresa, che riesce - grazie a una durata moderata di tre quarti d’ora e a un’incredibile varietà di toni - proprio laddove l’elefantiaco “Opposites” aveva fallito.
Sin dall’opener “North Of No South” sia la chitarra che la rutilante sezione ritmica fanno sfoggio di muscoli e precisione balistica, ora cedendo a frizzanti coretti pop (la deliziosa “Tiny Indoor Fireworks”), ora ingrifandosi in finali fragorosi e graffianti (“Worse Type Of Best Possible”). A spezzare il ritmo sostenuto arriva la prima ballata della partita, “Space” (l’altra è la più rustica “Opaque”): atmosfera sospesa a metà tra Coldplay e Snow Patrol che un po’ fa venire il latte alle ginocchia, ma che con un bel ritornello coccolato dagli archi rende bene ai fini dell’economia della scaletta. Il disco torna a ringhiare con una slavina pop-rock imparata all’accademia di Dave Grohl intitolata “End Of”, lambendo poi addirittura durezze metal con la scattante “The Pink Limit”. Un pelo ridondante, la conclusiva “Cop Syrup” si concede un lungo intermezzo orchestrale da cinema romantico.
Non un disco che riscatta completamente una band dalla quale è lecito aspettarsi molto di più, “A Celebration Of Endings” è quanto di meglio il trio ci ha fatto ascoltare da una decina d’anni a questa parte. Un lavoro moderno, tosto quanto basta, contestuale alla fosca realtà politica di questi giorni e ben congegnato in ciascuna sua traccia, anche quando i sintetizzatori danzerecci di “Instant History” paiono invocare a gran voce un remix di David Guetta.
24/08/2020