Eefje de Visser

Bitterzoet

2020 (Sony / Eefjes Platenmaatschappijtje)
synth-pop, ambient-pop

Quattro anni possono costituire un'eternità di questi tempi, è vero però che talvolta si rivelano una benedizione, specie se sono inframmezzati da comparsate in album di amici di lusso (gli indie-popper Bazart da quel del Belgio) e corrispondono al passaggio alla Sony. Quattro anni possono essere il tempo necessario per evolversi, trarre quanto di meglio aveva caratterizzato un'opera di rottura quale “Nachtlicht” e approfondire senza riserve la vena lì elettronica introdotta, portandone alla ribalta tutto il potenziale ancora inespresso. Pur con i fari di una grande etichetta a illuminarne il percorso, Eefje de Visser non ha affrettato il cammino, casomai ha compiuto il processo inverso, evidenziando in “Bitterzoet”, quarto album di una carriera già di notevole successo, il frutto di una lenta, graduale dedizione, sottesa allo sviluppo di un linguaggio sintetico espanso, tanto minimale nelle forme quanto cangiante negli esiti. Il nuovo corso della musicista olandese prosegue col giusto ritmo.

Non aperture ballabili, non oscuri presagi synth-wave, a dominare la scena sono taglienti striature descrittive, tenaci (quanto il più delle volte docili) ostinati ritmici, ampi passaggi d'atmosfera, che non disdegnano rapidi cambi d'umore o inattese evoluzioni sonore, ma che non hanno intenzione di adeguarsi a contesti danzerecci o perturbare gli ascoltatori. In questo senso, l'attenzione per i dettagli diventa estrema, la produzione assume quasi un ruolo centrale nella calibrazione delle variabili emotive (tanto dolciamare come lo stesso titolo suggerisce), mette in risalto le leggere increspature di una voce talvolta troppo monolitica nel trasporto per reggere il confronto.
Non che non vi siano momenti in cui le canzoni traggano vantaggio dal tono quieto, piano di de Visser (“Pixels”, con la sua scenica introduzione dalle inclinazioni dark-ambient; i delicati saliscendi in scia dream-pop di “Zwarte zon”), è vero però che spesso a restare impressa è la gestione della composizione, i connotati timbrici di canzoni che funzionerebbero anche in chiave meramente strumentale.

Poco male, anche così de Visser è autrice consapevole dei traguardi raggiunti alle prese con programming e sintetizzatori, tratta il proprio materiale senza indugiare in banalità assortite, che si tratti di più “ovvi” tratteggi ritmici (la cassa serrata del singolo “Lange vinnen”, in cui si annulla con successo la discrepanza tra strofe e ritornello) o di costruzioni meno attese (le ascese technoidi del brano-capolavoro “Stilstand”, sorrette da un'avvincente gestione delle propulsioni e da un uso mirato di stacchi e glitch).
Il disco gode di una consapevolezza che è sinonimo di esperienza, che sa prendersi i suoi rischi (le reminiscenze house, opportunamente “autorializzate”, in “Oh”, le diffrazioni ritmiche di “Terug”) senza precipitare rovinosamente, marcando stretta la conquista di un territorio che in tanti hanno provato a solcare, fallendo il più delle volte.

Con un pizzico di rafforzamento del comparto vocale (ancora una volta giustamente contraddistinto da un vellutato impiego della lingua madre) l'album avrebbe potuto salire ancora di più nelle quotazioni. Anche così si evidenzia la forza e la crescita di un'autrice solida, sicura, che nel coprirsi di abiti elettronici non rinuncia alla natura sfuggente, elusiva della propria scrittura. Nuovamente accolta da grande successo di pubblico (terza posizione in Olanda, prima nelle vicine Fiandre, dove ora risiede), l'avventura mainstream di Eefje de Visser non poteva iniziare meglio.

14/02/2020

Tracklist

  1. Zwarte zon
  2. Bitterzoet
  3. Stilstand
  4. Lange vinnen
  5. Kom op
  6. Controle
  7. Pixels
  8. De parade
  9. Maak het stil
  10. Terug
  11. Onverstaanbaar
  12. Oh
  13. Groen




Eefje de Visser sul web