“Anything”, ovvero ogni cosa o niente a seconda dell’esigenza. Il tutto e niente dei marchigiani Hiroshi. - il punto rientra nel moniker - passa attraverso un sound che trita shoegaze, dream-pop ed elettronica con una nonchalance a momenti disarmante. E’ un esordio, il loro, dal mood anche cinematografico. Come se Nicolò Bacalini, Alessio Beato, Lorenzo Renzi e Luca Torquati rincorressero i Mogwai per comporre la colonna sonora di una pellicola sci-fi dalla sceneggiatura thriller, ambientata su terre alternative in cui la propria stella è una nana rossa dalla luce fiacca e dalla temperatura troppo “bassa”.
Concepito tra Italia, Olanda e Stati Uniti e, per giunta, “abbozzato per corrispondenza”, “Anything” non mostra affatto i segni di una genesi altalenante. E’ infatti un album compatto, al netto delle variazioni ritmiche, delle tastiere fluttuanti e delle improvvise mutazioni stilistiche che lo rendono de facto un unicum nell’attuale panorama emergente italiano. Si prendano da esempi movimenti come “Trading Place” o alcuni passaggi in coda dell’iniziale “Lost Highway - Reloaded”. C’è da dire, inoltre, che il cantato, a volte un po’ troppo sfasato, non entra sempre in gioco, e ciò è un bene, essendo per alcuni versi (non sempre, a dirla tutta) il punto debole della band, quantomeno di questo disco.
Tracce come “Isolation Row”, poi, galleggiano tra il trip-hop aggiornato ai tempi odierni e il noise-pop d’annata. Mentre “Float - Reloaded” mostra il lato più pimpante e cazzuto della band, con battiti alla Arthur Russell fase "disco" e aperture celesti al synth.
Se siete alla ricerca di una band sui generis, puntate ben più di un cent su questo singolare quartetto marchigiano e non ve ne pentirete.
(21/12/2020)