John Elmquist è un compositore e musicista di Chicago che dal 1999 ha messo in piedi un ensemble di musicisti in continua espansione e trasformazione, autore di una folgorante e originale sintesi di elementi musicali colti, jazz, classica, avant-rock, e che per le esibizioni live predilige teatri, università e musei, sviluppando nel contempo un idioma musicale che è quasi un universo parallelo a quello dell’arte contemporanea.
A dispetto delle appena citate premesse non v’è nulla di estremamente concettuale nella musica di Elmquist e del Hardart Groop: “I Own An Ion” è un disco che si prende bellamente beffa di qualsiasi definizione stilistica, elaborato unicamente sfruttando le infinite possibilità offerte da trombe, tromboni, archi, chitarre, percussioni, voci, violini e viole, basso, tastiere, oltreché dalla sublime arte della composizione.
Volendo inquadrare l’esuberanza creativa di queste dieci tracce, si può scomodare senza alcun timore la natura trasversale del suono di Canterbury, in particolare Soft Machine e National Health, nella geniale ed epica “Homage a Antão”, o le trasgressioni strumentali del Frank Zappa di “Studio Tan”, nello scoppiettante e giocoso incastro armonico e ritmico di “Fract Ions”.
Ma è l’estrema fluidità delle soluzioni liriche e armoniche a mettere subito in chiaro l’elevato livello qualitativo del progetto. Una fluidità che permette ai musicisti di sviscerare in quasi sette minuti furori jazz-rock contaminati da vocazioni gothic che incutono terrore (“Breath”), quindi catturare l’estasi del formato canzone, nell’elegante swing-doo-wop-jazz nell’amabile “Sugar Booty”.
E’ una continua fucina di emozioni e intuizioni, “I Own An Ion”, ricco di colte citazioni jazz e progressive (“Dealing In Parts”) o di rocambolesche e dinamiche interazioni tra il suono di una big band e una corale classica, che sfociano nel ricco intreccio di una mini-sinfonia jazz/classical (la title track).
Ho quasi timore nel descrivere la bellezza e la notevole caratura compositiva di brani come “Mister Green”, dove a giocare il ruolo principale è un ensemble vocale maschile che toglie letteralmente il fiato. Non è altresì facile rendere palpabile l’elegante e atipico duetto tra archi e percussioni, che origina un groove di rara bellezza e intensità poetica nell’escursione di canti e controcanti di “1441”, né si può tacere del geniale incrocio di linguaggi vocali del dilettevole e destrutturante esperimento compositivo di “Intellectual Proper D” o della lussuosa chiosa finale di “Uti Possidetis Iuris”.
A questo punto quasi sconvolge e indispettisce il fatto che un personaggio come Elmquist, a dispetto dei pur notevoli riconoscimenti e premi, sia ancora una vera novità per gli appassionati di musica. "I Own An Ion" è un disco prezioso che non merita di restare nell’oblio e nell’indifferenza.
(13/03/2021)