Ritrovarlo profondamente ispirato è una gradita sorpresa, anche se dietro queste malinconiche e aspre inquietudini elettronic-dub, c’è la sofferenza per la discesa negli inferi della malattia dell’Alzheimer, un male che ha colpito la madre del musicista e che è oggetto di questo nuovo disco di Pole.
“Fading” è l’album più affine alle scheletriche pagine degli esordi, ma il respiro è più corto meno frenetico, pigro, a volte sinistro (“Erinnerung”), i riverberi dub oltre a rievocare l’oblio del dancefloor (“Tangente”), raccontano con meccaniche dissonanze anche il dopo sbornia, ovvero il risveglio del corpo e dell’anima che va in cerca di un luogo sicuro dove riposarsi dopo l’orgia di beat e luci (“Traum”).
Questa coscienza del dopo, del raffronto con la realtà è in fondo la vera novità dell’ultimo disco di Pole: le pregevoli sculture elettroniche si ammantano di un calore e di un flusso emotivo inattesi (“Röschen”) e di un’eleganza che non rinuncia alla sperimentazione (“Tölpel”).
“Fading” è comunque un disco sulla perdita della memoria ed è quindi naturale il lento dissolversi di riff e melodie che pian piano prende possesso delle tracce, fino a sprofondare negli abissi inquieti di “Nebelkrähe”: al ricordo subentra la nostalgia, alla magia lo sgomento, alla furia dell’elettronica e del dub succede superficialità e indifferenza.
Quando le note della title track chiudono il cerchio, la musica, come la memoria sconfitta dall’Alzheimer, si dirada e resta solo il lamento delle tastiere, dei synth, delle macchine, del silenzio.
Stefan Betke è ritornato e ha qualcosa di importante da dirci, e il linguaggio della musica del compositore tedesco non è mai stato così potente da molto tempo a questa parte.
(13/02/2021)