E’ un vero e proprio outing creativo il nuovo disco di Rebecca Foon, apprezzata violinista con Esmerine, Set Fires To Flames e Thee Silver Mt. Sion, già titolare con il moniker di Saltland di due pregevoli album dalle malsane arie chamber-folk grondanti di elettronica, neoclassica e post-rock.
“Waxing Moon” nasce con prerogative molto diverse da quelle più avantgarde del progetto Saltland: l’album è stato concepito per raccogliere fondi destinati a un progetto per l’eliminazione del monossido di carbonio, elemento primario dell’inquinamento e della crisi climatica. Da qui la scelta di attingere a forme musicali meno articolate e semplici.
Rebecca accantona in parte il violino per concentrarsi su vortici melodici di piano e voce, dal suono malinconico e spoglio. Jace Lasek dei Besnard Lakes, Patrick Watson e il suo fedele bassista Mishka Stein, Richard Reed Parry degli Arcade Fire e Sophie Trudeau dei Godspeed You! Black Emperor formano la preziosa backing band, il cui contributo non è solo tecnico ma anche creativo. Ad essi spetta infatti il compito di aggiungere bellezza alle delicate e sognanti miniature dream-folk e chamber-pop dell’austero insieme dell’album.
“Waxing Moon” è già dal titolo foriero di atmosfere eteree e sospese, al limite di un minimalismo neoclassico (“New World”, “Dreams To Be Born” e la title track), che nonostante pochi elementi strumentali riesce sempre a tenere alta una tensione sonora in bilico tra trepidazione e raccoglimento.
Quando Rebecca Foon riabbraccia il suo strumento principale, le suggestioni noir e cinematiche del progetto Saltland tornano al centro della narrazione: la struggente “Another Realm” e la viscerale intensità di “This Is Our Lives” alzano i toni, altrove più introspettivi, soprattutto grazie al fervente dialogo del violoncello con il violino di Sophie Trudeau.
Nonostante tutto, “Waxing Moon” non rispetta, almeno in parte, le pur interessanti premesse: la scrittura leggermente ripetitiva non sempre beneficia delle più ricche strutture di alcune tracce (“Pour”), ed è un peccato, perché quando la sinergia tra Rebecca e i suoi amici musicisti funziona, c’è spazio per stimolanti emozioni quasi alt-pop (“Wide Open Eyes”) che ricordano le pagine più versatili di Julia Holter (“Vessels”).
E’ lecito pensare che dietro la semplificazione e la staticità di questo album della musicista canadese ci fosse la volontà di sviscerare poche emozioni in maniera profonda eppur intellegibile, ma è difficile negare che si tratti di un progetto non del tutto riuscito, il cui valore resta vincolato alla qualità dei musicisti e a una premessa creativa che resta comunque interessante.
15/03/2020