The End

Allt Är Intet

2020 (Rarenoise)
jazz, metal, noise

The End è un’altra creatura dell’inarrestabile Mats Gustafson (Fire!, The Thing), un progetto condiviso con la cantante etiope Sofia Jernberg (Fire! Orchestra, PAAVO), e tre abili musicisti jazz norvegesi, Kjetil Møster, Anders Hana e Børge Fjordheim.
“Allt Ar Intet” è il secondo capitolo del gruppo, un artefatto post-jazz e noise-rock che graffia via la ruggine dall’ormai canonico free-jazz, per una lettura brutale e hardcore, che cattura elementi spuri e apparentemente concilianti, per una musicalità infine avventurosa e colta.

Il "tutto e nulla" del titolo si sviluppa su quel confine tra bellezza e ferocia dove l’animo artistico si nutre di inquietudine e traboccante passione, lasciando la musica in balia di uno stridore di tamburi, graffi elettro-rock e ostili arpeggi e riff di chitarre dall’incerta genia, come nel caso di “Dark Wish (To Per Henrik Wallin)”, al fine di omaggiare una delle figure più importanti per la formazione artistica di Mats Gustafson, ovvero il pianista jazz svedese Per Henrik Wallin (discepolo di Monk), pluridecorato in patria e purtroppo poco noto fuori dai confini patri.

Opera compatta ma mai prevedibile, “Allt Ar Intet” affonda perfino le mani nel grindcore e nel metal con tutta quella sensibilità scandinava che da decenni ha codificato nuove strutture compositive e sonore anche nel campo della musica rock, ed è proprio nella title track che questo insano groove di riff chitarristici corrosivi, dissonanze free-jazz e folk scandinavo trova la sua migliore esegesi, in una progressione di stili che si trastulla perfino con la natura rituale e tribale del post-avant-funk alla James Chance, Talking Heads e The Pop Group, risvoltandone l’anima come un calzino e facendo affiorare trame eteree e insolitamente astratte.
Della stessa cruda e aspra materia si nutre l’ancor più estremo free-jazz-metal di “Kråka. Rörde Sig Aldrig Mer.”, dedicato al poeta inglese Ted Hughes, brano che spinge tutti gli elementi della musica dei The End verso il pericoloso confine della blasfemia armonica, tra riff incandescenti e ossessive, selvagge urla femminili.

E’ la voce di Sofia Jernberg il centro emotivo del vulnus sonoro dei The End, ad essa tocca varcare i confini della rabbia nell’appena citata “Kråka. Rörde Sig Aldrig Mer.”, tenere a bada gli impulsi ritmici della complessa e difficoltosa “Intention And Release” o raccordare gli elementi di spiritualità pagana che incorniciano l’album. E’ infatti un blues di Tampa Red, portato al successo da Elmore James e poi rielaborato con un minimalismo folk-blues esemplare da Karen Dalton, “It Hurts Me Too”, il brano al quale è assegnata l’apertura del disco: il canto di Sofia Jernberg è straziante, primitivo, sorretto dal suono magico del langeleik, una cetra tipica della tradizione musicale norvegese affidata alle mani abili di Anders Hana.
L’ultima traccia è un brano del sassofonista jazz Dewey Redman, “Imani”, che offre spazio oltre che alla voce della Jernberg anche al suono del flauto di Mats Gustafson, un finale che rende compiuta l’ascesi mistica e impressionista dell’album.

Un progetto decisamente non facile e immediato, ma senza dubbio importante e originale, un modern jazz che volge lo sguardo a un paradigma rock spesso considerato minore (il metal delle ultime generazioni europee), un disco da ascoltare con attenzione e rispetto che sfugge all’autocompiacimento tecnico, peraltro notevole, per una sequenza aliena di felpato e straniante avant-jazz-rock-metal, che in verità deve molto a un’altra anima pulsante del progetto, ovvero il batterista Kjetil Møster.

07/02/2021

Tracklist

  1. It Hurts Me Too
  2. Dark Wish (To Per Henrik Wallin)
  3. Intention And Release
  4. Allt Är Intet
  5. Kråka. Rörde Sig Aldrig Mer.
  6. Imani

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