Che i dispacci d’agenzia parlino di debutto la dice lunga riguardo al profilo artistico di Bones Owens (vero nome Caleb Owens), chitarrista già autore di un Ep nel 2014 (“Hurt No One”) e di altri due timidi mini-album non proprio fortunati, “Make Me No King” del 2017 e “Keep It Close”del 2018: un sessionman dotato e abbastanza noto nei circuiti ma ancora in cerca di un'identità da solista.
All’età di sei anni Caleb Owens ha cominciato a strimpellare il piano (proviene da una famiglia di musicisti), tre anni dopo ha imbracciato la chitarra, fondando la sua prima e unica band nel 2004, The Arlington; un contratto con la Emi e una lunga carriera di chitarrista al soldo di band di rilievo (tra gli altri Bon Jovi e Yelawolf) completano il cerchio. Il nome in rilievo sulla copertina e un’immagine dell’artista, con l’ormai inseparabile cappello dietro il quale continua a nascondersi, sono il biglietto da visita di “Bones Owens”.
Ennesimo tentativo di raccogliere un po’ di quella visibilità finora negata alle sue precedenti opere, l’album è senza alcun dubbio il più solido e convincente del chitarrista, il quale mette a frutto gli anni di gavetta per un progetto quasi autobiografico. In queste dodici canzoni, c’è tutto il mondo del musicista americano: i grintosi riff rock’n’roll di “Lightning Strike”, le voluttuosità rock-blues che agitano ”White Lines”, l’energia dei primi Rolling Stones nell’incisiva “Good Day”, un tocco di southern-rock nella sapiente “Ain’t Nobody”, residui di soul music anni 70 nel garage-pop di “Wave” e perfino un pizzico di britpop nella grintosa “Keep It Close“.
Con destrezza e consumata professionalità, Bones Owens dissemina un potente assolo in “When I Think About Love”, nonché una classica rock-ballad da manuale come “Blind Eyes”, esautorando così i cliché di genere.
Spesso sono percepibili alcune affinità con i Black Keys, anche se va detto che a Bones Owens manca il tocco geniale di Dan Auerbach, ma senza dubbio brani quali “Come My Way”, “Keep On Running” e “Tell Me” non faticheranno nel trovare un posto in qualche playlist, anche grazie all’energica e ben definita produzione di Paul Moak (già alla console per The Blind Boys Of Alabama, Joy Williams e Marc Broussard), che inietta la giusta dose di adrenalina a un set di canzoni tanto prevedibile quanto piacevole.
10/06/2021