Se a un album segue un Ep, o comunque una raccolta di brani aggiuntivi all'altra collezione, viene quasi spontaneo da pensare che si tratti di un corollario teso a estendere la vita del progetto madre, spesso e volentieri senza la qualità media di quest'ultimo (qualsiasi sia il significato che si voglia attribuire al termine). Per
Emma Ruth Rundle e i
Thou, questa regola empirica semplicemente non vale. Non si sa bene quale sia stato il razionale alla base dell'omissione di queste quattro tracce da “
May Our Chambers Be Full”, fatto sta che “The Helm Of Sorrow” non soltanto non è l'appendice del disco pubblicato giusto tre mesi fa, ma ne surclassa i risultati con ampio margine. Che si parli della composizione dei brani, dell'intensità messa in campo, dello spirito collaborativo, questo è quanto ci si poteva aspettare dalla caratura dell'una e degli altri, e che ci viene offerto perlomeno in forma condensata, in un saggio di
sludge/doom-metal sanguigno, bruciante, appassionato. Ne sentivamo il bisogno.
Parte “Orphan Limbs”, e pare davvero di tornare ai tempi di “
Some Heavy Ocean”, col suo folk umbratile, nervoso, nascosto dietro coltri di chitarre elettriche e cupe atmosfere gotiche. È solo un'illusione, però, l'anticamera per quanto si verifica nella seconda metà del brano, in cui l'elemento sludge diventa preponderante, sostituendosi senza alcun preavviso al tono compassato della prima parte. È qui che l'effetto cooperativo tra i Thou e Rundle si palesa nella sua furia distruttrice, che manifesta la propria dolorosa comunione d'intenti, gli
scream di Bryan Funck a esacerbare il carattere macabro del testo e dell'interpretazione dell'autrice. Se “Crone Dance” non attende un lungo
build-up prima di dare sfogo alla sua natura oppressiva, “Recurrence” è catarsi oscura, un gorgo dal tono quasi
post-, in cui la venatura esistenziale dei versi trova nuove vie al terrore.
Se fin qui ci si muove in un terreno tutto sommato conosciuto, per quanto spinto a livelli di cura e sintesi tutt'altro che scontati, è con la cover “Hollywood”, brano originariamente dei
Cranberries, che il progetto si eleva realmente. In un adattamento che rispetta la natura puramente
nineties dell'originale (con tanto di inflessione irlandese in linea con la vocalità di Dolores O'Riordan), ma con una veste decisamente più sontuosa, a suo modo estatica, la rivisitazione amplifica i tratti pop della melodia con un immaginario grandioso, sfibrante, in cui Funck trova un contesto neanche insolito, quanto propriamente ossimorico, per il suo ventaglio espressivo. Che il brano funzioni certifica il carattere di una cover coraggiosa, che la collaborazione ha esemplificato nel migliore dei modi.
Non ci è dato sapere se dopo il binomio di pubblicazioni di questi ultimi mesi Emma Ruth Rundle e i Thou torneranno a incrociare i loro percorsi; quel che è certo è che se questa fosse la chiusura, non si potrebbe che esserne soddisfatti. Sciolti i dubbi emersi con l'album, l'Ep certifica l'assetto di un progetto di spessore.
21/01/2021