Esiste una duplicità evidente nelle formulazioni ambientali di Federico Mosconi, una compresenza di umori inquieti e umbratili a cui si contrappone una delicata attitudine contemplativa. Sono istanze complementari, confluite nelle pubblicazioni più recenti in itinerari caratterizzati da un marcato prevalere dell’una sull’altra. In questo nuovo album, le due anime del musicista veneto tornano nuovamente a fondersi in un unico universo sonoro definito dall’equilibrata alternanza di elementi sensoriali di consistenza tangibile e frequenze atmosferiche astratte e indefinite.
Come visioni che nascono dal sogno e ritornano alla realtà rimodellandone i tratti, i flussi generati dalla combinazione di reiterazioni sinuose, risonanze luminose finemente modulate e trame di chitarra pienamente riconoscibili costruiscono un immaginario ipnagogico ammaliante e avvolgente. Riecheggiando l’immagine di copertina, la massa sonora si muove cullante e senza sosta come le increspature di un mare privo di confini. È uno sviluppo lento tra atmosfere mutevoli a scandire l’evoluzione delle sei tracce, traiettorie emozionali nutrite da un controllato contrasto, che nei frangenti più saturi riportano alla Venezia di Fennesz o alle impennate del Tim Hecker più solenne (“Beyond The Big Horizon”, “Rust On Shadows”).
Tra l’espandersi di questi movimenti eterei emergono a tratti improvvise linee melodiche (“Dance Of Slow Waters”), che malgrado possano risultare avulse, in realtà si riconnettono al tono generale del viaggio, rafforzandone il senso di straniamento generato da un costante avanzare in bilico tra leggerezza onirica e vivida concretezza. Ne scaturisce un disco intenso ed elegiaco, una piacevole deriva in un territorio sospeso dove lasciare fluire libero il pensiero in balia di un suono rigenerante.
(18/03/2021)