Una scelta che permette alla band di fare un passo avanti rispetto all’eccessivamente derivativo “New Signs Of Life”, ovviamente i riferimenti ai Cure, ai Chameleons e ai Psychedelic Furs restano in bella vista, asserviti a una scrittura più attuale.
Restano immutati i personaggi delle canzoni: emarginati e solitari, privi di speranze per il futuro, sospesi in un limbo che la voce di Will Canning tratteggia con maggior forza.
Il passaggio dal rigore post-punk e minimalista degli esordi alle più elaborate strutture di “Between Here & Everywhere” è evidente, non solo nel trascinante singolo che ha anticipato l’uscita del disco “Passerby”, un riuscito incastro di riff pop-rock, voce baritonale e graffi wave, ma anche nelle spigliate assonanze jangle-pop della Smiths-iana “Last Days” e in un episodio ancor più ricco di piacevoli riverberi anni 80 come “Space Without A Name”.
I Death Bells sembrano aver fatto tesoro dell’esperienza americana, ed escono indenni anche dal confronto con le più ordinare sonorità stile Inxs o U2 che fanno capolino nelle pagine più estroverse (“Hysteria”, “Intruder”), amministrando con saggezza anche le ambientazioni più elaborate e classicamente rock (“Eternity Street”).
Qualche lieve incongruenza (“A Better Resolution”) e una vena decisamente più melodica (“Here & Everywhere”) mettono ulteriormente in chiaro limiti e consapevolezze di Canning e soci. A questo si aggiungono certe attinenze blues-rock che spesso incidono sull’atmosfera generale del disco e indicano una strada meno avventurosa.
I Death Bells non sono più gli arrabbiati musicisti post-punk degli esordi, ma non è una brutta notizia: “Between Here & Everywhere” non è un album imprescindibile, eppure in quanto a onestà e scrittura, ha molto da offrire anche all’ascoltatore più smaliziato.
(12/01/2023)