Envy Of None

Envy Of None

2022 (Kscope)
rock

Deve essere difficile rinnovare il linguaggio del rock in un’epoca in cui sembra che tutto sia stato scritto e cantato. Ascolti una linea melodica e ti vengono in mente i Beatles, i Beach Boys e le centinaia di epigoni. Ti infervori per un riff granitico e lo associ subito a Black Sabbath e discendenti vari. Non c’è niente di male in ciò, perché la musica è fatta di rimandi e citazioni, ma in questo periodo l’iper-produzione musicale amplifica la sensazione del già sentito.
Per superare lo stallo, alcuni musicisti si appellano all’eclettismo: l’arte di armonizzare elementi da diverse discipline o settori per creare qualcosa di nuovo. Thom Yorke è il più bravo di tutti nel farlo: avendo una visione del rock del tutto non convenzionale, ha contribuito a riscriverlo espandendone i confini. Ma non è il solo a provarci: personaggi come Alex Lifeson, chitarrista dei Rush, si affidano all’eclettismo per uscire dalla gabbia del proprio modo di fare musica.

 

In realtà, il musicista canadese si è sempre caratterizzato per la voglia di esplorare territori diversi, dal prog all’hard rock fino a sonorità eteree, spesso flirtando con il pop-rock (“Moving Pictures” dei Rush, 1981, ne è un interessante esempio).
Non sorprende, quindi, la nascita di un nuovo progetto musicale che mette insieme Lifeson, la cantante Maiah Wynne, il bassista Andy Curran e il produttore Alfio Annibalini. L’obiettivo è ridefinire alcune coordinate del post prog allargandone i confini al post-punk e al rock melodico degli anni 90. Non a caso “Envy Of None”, la loro prima opera, esce per la KScope, sensibile a raccogliere e indirizzare la traiettoria del nuovo progressive.

Se le premesse per fare bene ci sono, il risultato sconta l’eccessiva tendenza a cercare il riff carino e il ritornello da classifica, come se si volesse mettere insieme post-punk e Skunk Anansie sbilanciando però il suono verso il secondo ingrediente: si punta molto sulla voce di Maiah, suadente e a volte sussurrata ma che alla fine suona, ecco che torna la sindrome, di già sentito. L’apertura di “Never Said I Love You” illude l’ascoltatore, con il giro di basso new wave e la batteria che scandisce un 4/4 inquietante su cui Maiah canta inseguita da intarsi di chitarra. Il ritornello è accattivante e annacqua il tutto, anche se la canzone passa l’esame del primo ascolto perché sufficientemente cupa. Anche “Shadow” è interessante: il suo andamento lento ricorda le sonorità sognanti delle Warpaint, ma non siamo certo dalle parti della sperimentazione.

Sono brani come “Look Inside” che lasciano perplessi: un tappeto progressive alla Porcupine Tree fa da sfondo al canto etereo di Maiah, che non cattura i neuroni e a poco a poco stanca. Anche “Liar” si fa ascoltare ma sembra un brano uscito dalle classifiche degli anni 90: siamo dalle parti degli Evanescence o, volendo dare credito alla band, nei territori battuti dai Senser con il loro “Asylum” a fine anni 90 (altro che Nine Inch Nails, come riporta la presentazione della band).
“Kabul Blues” è una nenia lenta ed elegante, con inserti elettronici e un taglio desertico che la rendono uno dei brani più lontani dalla discografia di Lifeson. Ma poi c’è “Enemy”, che, nonostante il tappeto pesante di chitarre distorte, si perde nella ricerca del ritornello giusto, perdendo smalto. Alla fine “Western Sunset” è la ballata strumentale che mette d’accordo tutti, con la chitarra folk che rende toccante un brano dedicato al compagno di band di Lifeson, Neil Peart, scomparso recentemente.

“Envy Of None” è un’occasione persa di proporre rock nuovo. Piacevole, a tratti coinvolgente, suonato e prodotto da ottimi musicisti, alla fine lascia con la sensazione di volersi guardare ancora intorno alla ricerca, forse vana, del rock degli anni 20.

09/07/2022

Tracklist

  1. Never Said I Love You
  2. Shadow
  3. Look Inside
  4. Liar
  5. Spy House
  6. Dog`s Life
  7. Kabul Blues
  8. Old Strings
  9. Dumb
  10. Enemy
  11. Western Sunset

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