La storia che qui si racconta non ha poi niente di così originale: per vie traverse un producer pressoché sconosciuto riesce a condividere il suo materiale sulla Rete, e il passaparola fa il resto, garantendo notorietà e un più facile prosieguo di carriera. Eppure i punti di contatto con altre storie analoghe finiscono qui: sarà per il metodo di condivisione, sarà per la natura di quanto offerto, sarà che il materiale qui proposto rischiava di non essere mai ri-pubblicato (gran bel problema quando ti si rovina l'hard-disk esterno) ma l'avvio dell'avventura di Galcher Lustwerk non poteva partire sotto premesse più strane. Amico dei fondatori della White Material, etichetta capace sin dalle prime uscite di far drizzare le orecchie ai cultori della techno più outsider, il ragazzo di Cleveland si fa notare dai responsabili dei curatori della Blowing Up The Workshop, dediti a mix super-carbonari ad amplissimo spettro, e per loro firma nel 2013 l'uscita numero 12, distribuita gratuitamente attraverso Soundcloud.
Cosa vi è di così particolare? Che la proposta di Lustwerk (nom-de-plume talmente iconico che si vorrebbe fosse reale) dribbla la classica miscellanea di pezzi e spunti ripescati da chissà dove, per offrire invece materiale completamente autografo, un set con i piedi ben piantati nel continuo dance ma dall'identità sonora ben definita. Nessun amo promozionale aggiuntivo: la musica è più che sufficiente, e nel corso degli anni il set, con elegante fattualità intitolato “100% Galcher”, ne ha dimostrato tutto il potere. Migliaia di download (nessun altro mix della serie ha raggiunto numeri simili), una carriera lanciatissima, un fitto pubblico di appassionati: il tutto, grazie a un'ora esatta che ha saputo individuare un percorso totalmente personale nella house e nella sua storia, che ha escogitato un linguaggio fuori da ogni facile categorizzazione. In un decennio che ha osservato una nuova rinascita per il macro-filone, sapersi imporre in questa maniera è impresa davvero ardua.
Altrettanto arduo è stato giungere alla pubblicazione in formato fisico. Vera e propria prima stampa, a cura della Ghostly Intl. che ormai licenzia da anni i progetti del producer, i quindici episodi del mix sono stati recuperati a fatica dall'hard-disk danneggiato e quindi rimaneggiati a eliminare la continuità di flusso propria del mix, estendendo la durata complessiva di oltre cinque minuti. Tutt'altro che tempo sprecato: nella sua profonda essenzialità stilistica Galcher Lustwerk qui infonde una nuova spazialità ai brani, giostra gli intervalli e le ripartenze, esaltando ancora di più le spiccate qualità atmosferiche della collezione. Già, perché per quanto ballabile, perfettamente contestualizzabile in un contesto da club, la musica qui offerta sa essere allo stesso tempo pensosa e contemplativa, metropolitana ma anche isolazionista, come una notte spesa a vagare per deserti viali in periferia. Al crocevia di molteplici impulsi e tendenze, l'arte del produttore dall'Ohio si esprime meglio affermando ciò che non è, cogliendone le difformità e i disaccordi, in un gioco per esclusione che esalta l'insularità di tratto.
Come si manifesta tale insularità? Come i negativi di un rullino, evidenziando le assenze nel fitto richiamo di influenze chiamate in causa. Poco importa che la ricetta sonora sia in apparenza semplicissima, retta su beat felpati, sintetizzatori in chiaroscuro e sulle pennellate vocali di Lustwerk: l'atmosfera si fa densissima, i brani si muovono in un territorio che coglie la storia della house, rileggendola però attraverso gli interstizi inesplorati, gli spazi vergini ancora da abitare. Si cerca la deep-house? In “100% Galcher” se ne può fiutare l'odore, se ne scorgono le tracce attorno a battiti rilassati, che non hanno alcuna voglia di rinunciare alla propria morbidezza. Anche però a giocare nel terreno dei vari Marshall Jefferson e Mr. Fingers, manca la giusta attitudine soulful, il tocco è più deciso e urbano, i groove si fanno ben più subdoli e striscianti, sorretti da un contributo vocale che inquadra i brani in chiave hip-hop.
Vogliamo parlare del movimento astrattista/outsider? Certo, a prendere alla lettera il termine il producer qui presente era figura nettamente ai margini, e il carattere della produzione è tutt'altro che tirato a lucido, manca però l'oltraggioso impiego dei campioni (qui anzi tenuti a bada), l'attitudine psichedelica di personalità come Huerco S. o AL-90 qui appare solo come richiamo estetico, senza mai esprimersi nel dato sonoro.
Proviamo ad effettuare una capatina in Francia. “Outside The Club”, la voce tutta un vocoder come una “Flawless” tredici anni più tardi, potrebbe ergersi a più seria candidata, eppure lo spericolato looping dei cugini d'Oltralpe qui non vuole trovare posto, le agitazioni funky si stemperano grazie a un polso che ambisce a un'ambience ben più subliminale.
Che dire del versante ambient, quindi? A considerare i vari “Stem”, bizzarri esperimenti sintetici che suddividono il lavoro in una sorta di house-opera senza concept, la tentazione di categorizzarlo in questo ambito è forte. È poi vero che la dimensione d'ascolto è tutt'altro che secondaria, proprio in virtù di tale ripartizione la scaletta sa farsi ben volere anche a un orecchio ben concentrato. Eppure, malgrado l'atmosfera quasi onirica, ci vuol poco perché momenti come l'introduttivo “Parlay”, scintillante four to the floor tutto puntelli e ossessioni ritmiche, non si facciano ben volere nel loro habitat naturale.
In un flusso che anche non mixato sa sempre ritrovare il proprio baricentro, la house di Galcher Lustwerk monta uno spettacolo che rievoca senza mai esibire alcuna calligrafia, assesta pugni decisivi senza alcuno spreco di energia (un piccolo spostamento verso più marcate pulsazioni techno e “Put On” avrebbe snaturato completamente la sua delicata risolutezza), collega decenni e contesti del tutto eterogenei, con l'entusiasmo di chi sa che non è necessario trattarli da avversari all'autoscontro perché si sprigioni la magia.
Anche quando a prendere la parola sono ossessive ripetizioni del suo nome d'arte (“Cricket's Theme”), la qualità della produzione è tale che il gioco non si traduce mai in una grottesca autocelebrazione, piuttosto offre curiosi spunti melodici a un montare sonoro che quasi accoglie la più remota cerebralità dell'Idm.
Sarebbero poi sopraggiunte ulteriori sorprese con i ben più marcati panneggi deep di “Dark Bliss”, nuovi saggi di maestria eversiva nel non-sequel targato “200% Galcher”, finanche sornioni inni alla ganja nel progetto parallelo 420 (nomen omen). Di sfuggire dalla presa come una nuvola di fumo Galcher Lustwerk aveva chiaramente dato grande prova nel suo stupefacente esordio, saggio di una maturità che a quasi un decennio di distacco continua a essere premiato, nell'incessante rigurgito di produzioni lo-fi house direttamente ispirate dal mix, del riguardo che gli compete. Chissà, potreste presto scoprire di volervi innamorare delle più flessuose linee di basso degli anni Dieci.
(25/12/2022)