La scomparsa di Andy Fletcher, fondatore e tastierista dei Depeche Mode, offre una luce più nitida alla nuova uscita di Miss Kittin & The Hacker. Perché Fletcher incarnava le due parole chiave del pop sintetico anni 80: presenza ed eredità. La presenza è quella rappresentata dalla pluridecennale e coerente storia dei Depeche Mode, il cui contributo all’immortalità delle sonorità eighties è centrale. Grazie a loro il synth-pop non è mai scomparso, come testimoniano le maree sonore cold e darkwave degli ultimi decenni (dai Cold Cave in poi è un fluire di elettronica, spesso sotterranea ma sempre attuale). E poi c’è l’eredità, il senso di sperimentazione e di stupore che quel fenomeno ha trasmesso: un esempio è il recupero ruffiano ma efficace delle sonorità anni 80 anche da parte delle stelle del pop mainstream (da Lady Gaga a The Weeknd).
Ma c’è una versione del revival anni 80 che ne eredita il meglio: la rielaborazione in chiave techno con un nuovo genere, l’electroclash, che da fine anni 90 ha incendiato dancefloor alternativi e cambiato la storia della musica elettronica. Il genere nasce dall’esigenza di fornire alla techno, nata dalla lezione dei Kraftwerk sul contrasto-fusione tra uomo e macchina, la struttura e il calore umano che solo il synth-pop poteva donarle per favorire ascolto, ballo, condivisione.
I francesi Miss Kittin & The Hacker sono tra i protagonisti dalla fine degli anni 90. Da subito nell’orbita del tedesco Dj Hell, catalizzatore di questa rinnovata energia elettronica, e della sua etichetta International Deejay Gigolò (le sue raccolte sono uno spaccato formidabile di quel periodo) i due musicisti esplodono insieme con “First Album” del 2001. È un album sorprendente per la capacità di sondare spazi sonori scintillanti creando potenziali hit alternative come la travolgente “1982”. Tornati ognuno alle proprie attività (musicisti, produttori, dj) tornano insieme per “Two” (2009) che riprende le sonorità new wave per un approccio più oscuro alla materia (basti ascoltare il tornado di “Indulgence”). La voglia di restare negli anni 80 rimane e nel 2022 il duo torna insieme per “Third Album”, un compendio di brillanti sonorità electro che riprende al meglio le parole chiave della presenza (gli anni 80 non vanno mai via) ed eredità (il recupero dello spirito da esploratori sonori attraverso computer e sintetizzatori), confermandone l’attualità e freschezza. Il risultato è potente, da ballare e ascoltare all’infinito soprattutto per chi apprezza il lato più oscuro della loro musica.
L’apertura di “19” è da delirio, con la cassa dritta a dare il tempo e il beat sintetico alla New Order che tanto ci piace che introduce i sequencer e poi il tappeto melodico dei sintetizzatori per un brano ballabile ironico e snello. Con “Ostbanhof” si fa sul serio: la trama acid house del sintetizzatore crea la base per un attacco sonico a suon di bassi e scintillii sonori. Siamo dalle parti di una techno dai Bpm moderati ma ballabili: l’intermezzo definito dalla trama di tastiere porta verso un apice da club alternativo. “La Cave” parte acida e ossessiva e mantiene un tiro cupo e opprimente: una lezione di electroclash da incubo. “Malade” è come una versione elettronica dei Sisters Of Mercy, materia incandescente dove i synth si sovrappongono tra loro creando un tappeto sonoro che sfida ogni abitudine pop e impone di ballare.
L’electro di “Purist” è un omaggio agli Human League, il brano è orecchiabile e sinuoso. Una hit in cui solo la voce non regge il confronto con gli originali degli 80’s. La finale “Soyuz”, poi, prende ispirazione dalla musica dei Kraftwerk, per un brano che potrebbe essere di Africa Bambaataa o di qualche maestro techno in vena di velocità.
Insomma, l’elettronica di Kittin & The Hacker ha ancora tanto da dire per chi c’era, per chi c’è e, ci potete contare, per chi ci sarà.
29/05/2022