Il nuovo album della band di Melbourne, “Levity”, non mostra cambi di rotta: il mood ritmico e gradevolmente inquieto e i vortici chitarristici sono psichedelici quanto basta per dare slancio e scintillio alle pur prevedibili dieci tracce, insomma: nessuna buona nuova. La musica degli Stroppies non è dunque né rivoluzionaria né originale, ma l’attenzione al particolare e il costante senso di purezza e genuinità donano un discreto fascino a questi poco più di trenta minuti di gorgheggi pop e fuzz guitar.
Chi ha dimestichezza con il passato della band non farà fatica a notare il principale pregio di “Levity”, ovvero una scrittura più agile e diversificata. A beneficiarne è l’insieme, che scorre con il consueto brio strumentale, offrendo almeno un paio di intuizioni lodevoli. L’ipnotico e ossessivo refrain di “The Perfect Crime”, contraddistinto da un insolito uso di voci in loop e un graffiante tocco chitarristico, è una di quelle canzoni che non sfigurerebbe nel vecchio catalogo della Creation Records; allo stesso modo “Up To My Elbows” celebra le glorie dell’indie-pop con un'esplosione di suoni e voci degna dei migliori Go-Betweens.
Il resto è affidato a episodi ora gradevolmente incidentali (“Smilers Strange Politely”, “I'm In The Water”), ora più arditi: la bizzarra rigidità quasi minimal di “Tricks On Everything”, i languori armonici distesi su ingannevoli groove della briosa “Material Condition”. Non mancano ulteriori citazioni vintage/retrò (“Caveats”), accenni folk-pop (“Butchering The Punchline”) e una giusta dose di innocenza pop (“The Bell”), che confermano la naturale schiettezza e coerenza della band australiana.
(01/08/2022)