Tornare a sognare ancora
L’assenza, l’amarezza, l’attesa di un ritorno. Da quando la magia dei Cocteau Twins si è dissolta come nebbia al sorgere del sole, l’eco della voce di Elizabeth Fraser non ha mai abbandonato i nostri pensieri, la nostra residua immaginazione. Se i sogni hanno voce, è senza dubbio quella della cantante scozzese, protagonista insieme a Robin Guthrie, Will Heggie e Simon Raymonde di una delle pagine più originali della storia del rock.
Di quell’iconica voce abbiamo seguito le tracce, in cerca di un sussulto, di un segnale, l’angelo del dream-pop e dello shoegaze ha dispensato gioie e dolori, trafiggendo le vulnerabili melodie di Craig Armstrong, i sinuosi e sensuali groove dei Massive Attack, e si è fatto gentile contrappunto vocale per Ian McCulloch e inattesa presenza tra le fugaci e fulgide gesta dei compatrioti Bathers.
Quasi non speravamo più di scorgerne il nome in un qualsiasi progetto, al punto da sorvolare su quelle tracce disperse, che hanno trovato la loro giusta dimensione nel primo capitolo dell’avventura sotto il nome di Sun’s Signature.
Compagno di vita e d’arte, Damon Reece, già conosciuto come batterista con Spiritualized, Echo & The Bunnymen, Lupine Howl, Nigel Kennedy, Massive Attack e Goldfrapp, protagonista insieme a Sean Cook, Martin Shellard, Axel Lee e l’ex-Genesis Steve Hackett dei pregevoli tessuti sonori sui quali Elizabeth Fraser volteggia con una padronanza armonica e una grazia inviolata.
È come se il tempo si fosse fermato per l’ex-Cocteau Twins, anche se la carenza di assonanze con il passato è stranamente irrilevante. Come due mondi in collisione e in simbiotica armonia, antiche e nuova vestigia sonore rammendano una vicenda artistica che rifugge la routine e torna a ravvivare il caduco interesse per la musica contemporanea.
Il progetto dei Sun’s Signature ha radici lontane, ovvero nell’anno 2012, quando Elizabeth accetta l’invito di ANHONI al Meltdown Festival di Londra: “Golden Air” e “Make Lovely The Day” sono gli indizi di un potenziale progetto a venire, ed è “Golden Air” il capitolo che più di ogni altro rinnova la seducente magia dei Cocteau Twins, materia incandescente pronta a infiammarsi al cospetto di una sezione ritmica e strumentale in completo orgasmo creativo, un lussuoso e corposo dream-pop che meriterebbe un posto di rilievo in un remake di “Blade Runner”.
Scoprire che gli ascolti giovanili di Elisabeth Frazer erano incentrati su “The Lamb Lies Down On Broadway” e “Selling England By The Pound” è un’altra di quelle rivelazioni che costringono a riscrivere la storia del rock, ma è pur vero che gli amanti del prog furono i primi a venerare le gesta dei Cocteau Twins, non è dunque casuale la presenza di Steve Hackett, con al seguito organo e gizmotronic (Godley & Creme li ricordate?), e i sette minuti e mezzo di “Apples” sono a tal punto ricchi di richiami alla carriera del chitarrista inglese che viene da chiedersi se dietro il titolo non si nasconda un velato richiamo a “Ripples”, certo è che la vaporosa e tremula ballata ethno-prog dei Sun’s Signature è una delle pagine più memorabili che ascolterete quest’anno.
Sedimentata nel tempo (il brano è del 2000) e finalmente diventata materia, “Underwater” è una ninna nanna in perfetto dress code Liz Fraser, che sposa le gioie trip-hop di Damon Reece, un matrimonio simbolico tra le vecchie favole dei fratelli Grimm e la drammatica e terrificante mitologia moderna. Di egual tenore oscuro/ultraterreno, “Bluedusk” si sviluppa su improbabili passi di tango, risucchiando nel proprio vortice di suoni e tempi dispari, luci nonché ombre di una musica in costante ricerca della purezza, ne è esempio l’incantevole breve accenno chitarristico e l’apertura quasi sinfonica che per un attimo catturano l’estatica magia di “Never For Ever” di Kate Bush.
Last but not least, “Make Lovely The Day” completa il viaggio temporale dei Sun’s Signature, con vestigia sonore medievali, fraseggi acustici spagnoleggianti e la voce che sembra rompere gli argini della tecnologia, perfetta compagna di una musicalità limpida e naturale come l’aria, l’acqua, la terra, ovvero quegli elementi che sono la fonte d’ispirazione di una delle più belle sorprese degli ultimi anni (a farla da padrone nell’album sono infatti vibrafono, celeste, cimbalom, dulcimer, clarinetti bassi, chitarre e sintetizzatori vintage). Bentornata, Elizabeth!
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Il regalo atteso da 13 anni
When the dreams fade away
the dew of silence remains
(“Apples”)
Erano tredici anni che aspettavamo, per questo anche se dura una mezz'oretta scarsa, il ritorno di Elizabeth Fraser va accolto esattamente come se fosse un nuovo full-length. Stessa ansia, trepidazione, curiosità e la certezza che, comunque vada, si tratta di materiale, nel vero senso della parola, per pochi eletti, anche perché distribuito in appena 8.000 copie fisiche (metà delle quali destinate al mercato americano).
Cominciamo subito dalla notizia più attesa: la Sua voce è ancora lì, intatta e angelica come ai bei tempi quando, partita dalle tenebre della darkwave, spiccava il volo elevandosi alle altezze celestiali del dream-pop. Probabilmente la sotto-esposizione in questo le ha giovato, restia com'è da sempre alla luce dei riflettori. Dopo lo scioglimento dei Cocteau Twins, si è fatta vedere in giro col contagocce e principalmente come featuring per altri artisti. Quel poco che ha toccato, però, lo ha trasformato al solito in oro, ne sanno qualcosa Massive Attack (ricordate la magica “Teardrop?”), Peter Gabriel, Yann Tiersen, Jònsi dei Sigur Ròs e, ultimo in ordine di tempo, Oneohtrix Point Never (il remake di “Tales From The Trash Stratum” è del settembre del 2021).
L'ultimo lavoro propriamente solista della Fraser, “Moses”, risale invece al 2009: adesso giunge finalmente “Sun's Signature”, firmato in coppia con il compagno, in musica come nella vita, Damon Reece, ex-batterista di Spiritualized, Lupine Howl e per un breve periodo anche di Echo And The Bunnymen (1989-1993).
Il progetto parte in realtà da molto lontano: tre dei cinque brani che compongono l'Ep, infatti, non sono del tutto inediti e circolano in qualche modo da una ventina d'anni (una bozza di “Underwater”, ad esempio, venne pubblicata per la prima volta nel 2000). La scintilla per metterli nero su bianco è scoccata, per Fraser, nel 2012, subito dopo aver raccolto l'invito del collega ANOHNI a prendere parte al Meltdown Festival di Londra. Quell'edizione venne organizzata proprio da Antony Hegarty alla Royal Festival Hall, dove i due eseguirono già dal vivo “Golden Air” e “Make Lovely The Day”, che oggi vengono riproposte con l'aiuto di un team stellare (ai synth c'è Thighpaulsandra, al basso Sean Cook e alle chitarre Alex Lee, Martin Shellard e l'ex-Genesis Steve Hackett).
Il mini-disco, presentato in anteprima lo scorso 23 aprile in occasione del Record Store Day, è disponibile dal 18 giugno in digitale via Partisan Records. La “firma del Sole” cui accenna il titolo prende spunto dal mondo della natura e si riferisce allo schiudersi dei fiori. Così le tracce giocano con psichedelia barocca e musica da camera in uno spettacolo di luci e ombre che sboccia via via tra elettronica d'avanguardia e suoni classici senza età (vengono utilizzati celesta, dulcimer, cimbalom ed altri strumenti esotici che richiamano le stravaganze dei Goldfrapp).
L'apertura “Underwater” comincia con un'inquietante melodia di carillon e il canto etereo e stratificato di Liz che fluttua leggero sino a evolversi in canzone trip-hop moderna (sarà l'aria di Bristol, lei e Reece abitano lì da anni), mentre il testo evoca immagini deliziosamente malinconiche sull'accettazione della vecchiaia (“l'estate è finita/ l'autunno della mia vita”). “Golden Air” cresce silenziosamente attorno a un'altra performance estatica dipingendo paesaggi bucolici color indaco (più volte menzionato tra i versi, nella filosofia new age rappresenta il sesto chakra ed è correlato alla conoscenza psico-spirituale), “Apples” attraversa invece gli stati d'animo contrastanti di dolore, paura e desiderio, tenuti insieme da un'odissea acustica delicata e dal tremolio dello xilofono, la novità vera sono le parole pronunciate in lingua inglese piuttosto che nell'indecifrabile dizionario Cocteau's. Da ascoltare, infine, l'intensa ninna nanna “Blue Dusk”, dominata dal clarinetto, e le chitarre spagnoleggianti (ancora Steve Hackett) di “Make Lovely The Day”, che chiudono in bello stile un Ep magnetico e ricco di dettagli affascinanti.
Non sappiamo ancora se “Sun's Signature” resterà solo un episodio isolato o il punto di partenza verso nuove mete espressive, di certo però è valso la pena aspettare. Liz Fraser è tornata sulla terra: era ora.
10/07/2022