“Debris”: detriti dei quali non sempre è facile liberarsi, residui di convinzioni e principi che il tempo trasforma in sofferenza, in catene che tengono legata l’anima.
Per Luca Marchetto è giunto il tempo di osservarne il naturale decadimento con il necessario distacco emotivo per poter andare incontro alla realtà. Dopo aver scompigliato i più reconditi pensieri con “Ep 1”, il musicista, meglio noto come Bad Pritt, si proietta oltre il proprio universo minimal classical, offrendo contorni ben definiti a quanto abbozzato negli abbondanti venti minuti del disco precedente. La sostanza di “Debris” è racchiusa in quell’attimo di raccoglimento che fa seguito alla devastazione, al disfacimento: dolore e morte restano costantemente dietro le quinte dei sette brani, ovvero sette titoli e sette date che corrispondono a fugaci attimi di intensa suggestione.
E’ evidente che l’intenzione di Bad Pritt sia quella di svincolarsi sempre di più dalla seduzione elettronica per un approccio più naturale; non che l’artista rinneghi quanto sperimentato con il gruppo post-rock dei White Mega Giant, ma a computer e laptop non è permesso alcun intervento sia in fase di registrazione che in sede live.
"Debris" è un susseguirsi di note agili e lievemente romantiche, tra piano e archi che intercettano synth, loop e drum machine per una musicalità elettroacustica simile a una preghiera laica, un luogo sacro che il musicista crea con un distillato di ricerca e armonia. Bastano le poche note di “February 6th” per restare affascinati dalla potenza narrativa di archi in chiave neoclassica graffiati da fluidi elettronici in bilico tra distorsione e astrazione.
Alla breve parentesi pianistica di “February 7th” spetta introdurre la pagina più solenne e oscura, i sintetizzatori dominano e impongono un ciclico ritmo fino a creare un algido caos, ed è subito“July 13th”. “Debris” è un continuo alternarsi di luci e ombre, il romantico e flebile passo di “December 28th” e l’imponente matrimonio tra archi e synth scandito da un fugace battito elettronico di “December 29th” evocano immagini tanto forti quanto reali, grazie a quelle lievi imperfezioni che il musicista dissemina con arte.
Anche la trasposizione live è, per Luca Marchetto, un ulteriore elemento creativo: l’aver condiviso il palco con Jerusalem In My Heart ne ha affinato la potenza narrativa/cinematica. L’elegante crescendo ai confini del prog di “May 9th“, e l’attenzione spasmodica per toni e timbri delle poche note di piano e le distruttive onde noise di “September 27th” sono il risultato di una creatività che offre più livelli e chiavi di lettura.
Corredato da un originale packaging e da un raffinato artwork, il nuovo album di Bad Pritt è una interessante conferma per il musicista italiano. Resta il dilemma della nota esterofilia del pubblico nostrano, finora avaro d’attenzione per un artista che meriterebbe ben altro rilievo.
09/11/2023