We will never be far apart
Do you have memories from the start?
Before everything fell apart
It's getting blurrier lately
Diventati uno dei nomi di punta del metalcore più recente con "Forever" (2017) e "Underneath" (2020), i Code Orange da Pittsburgh, Pennsylvania, hanno deciso di autoprodursi questo quinto album, "The Above", sfruttando comunque l'esperienza di Steve Albini in veste di ingegnere del suono.
Allontanata la componente più feroce del loro sound, si lanciano questa volta in una rilettura del metal meticcio tra i due millenni, attingendo a un serbatoio di band molto eterogeneo ma comunque circoscrivibile: i Linkin Park e i Korn; i Nine Inch Nails e gli Slipknot; i Massive Attack e i Machine Head. Chi ricorda le traiettorie di nu metal e alt-metal di vent'anni fa si ritroverà a casa, tra registri vocali assortiti, melodie che affiorano al centro di brani altrimenti feroci e una continua propensione a rompere gli schemi, emulsionare stili e manifestare la propria irrequietezza compositiva. All'epoca, si trattava di espandere gli orizzonti e superare confini asfittici, ora è soprattutto un tributo nostalgico a un periodo che è stato, spesso con buone ragioni, dimenticato: troppe contaminazioni pretestuose, compromessi improbabili e banalità spacciate per introspezione.
Sempre centrale la coppia vocale formata da Eric Balderose (anche tastiere) e Reba Meyers (anche chitarre), sin dall’iniziale “Never Far Apart”, mezza incubo industrial-metal e mezza melodia malinconica da Evanescence; è solo l’inizio di alternarsi tra violenza e ritornelli più o meno ispirati che si ripete in “Theatre Of Cruelty”, “The Mask Of Sanity Slips”, “I Fly”, “Circle Through” e soprattutto in “Take Shape” (feat. Billy Corgan), nella quale la presenza del frontman degli Smashing Pumpkins palesa l’influenza che il grunge ha avuto sull’intero album.
L’atmosfera oscura delle varie “Splinter The Soul” e “Grooming My Replacement” non cambia l’ispirazione alt-nu-metal, ambito d’ispirazione che i Code Orange utilizzano per escogitare vividi contrasti e portentose esplosioni che, tuttavia, non stupiranno gli ascoltatori navigati.
Reba Meyers conduce per mano il trip-hop macchiato di inquietudini industriali di “Mirror”, mentre Eric Balderose spicca nel post-grunge corazzato di “But A Dream…”, ideali grimaldelli per accedere alle radio rock più generaliste. Bisogna attendere “A Drone Opting Out Of The Hive” per riportare alla luce l’instabile amalgama di industrial-metalcore pieno di glitch sperimentato in passato, del quale evidentemente i Code Orange sono ancora, volendo, capaci.
L’album è disseminato di canzoni che cercano di iniettare creatività in strutture compositive conosciute, esagerando in violenza e deviazioni stilistiche ma senza rinunciare a strofe e ritornelli, bridge e breakdown (anche spettacolari e devastanti, come quello di “The Game”). Succede che, per voler strafare, alcuni brani diventino dei guazzabugli, come è il caso di “Snapshot”, prima dei Muse sotto steroidi e poi un quadretto operistico, o la title track, con timpani marziali e chitarre distorte a introdurre fin troppo lungamente un accorato e banale ritornello conclusivo, buono per incendiare il pubblico accorso ai concerti.
“The Above” è, nonostante l’apparenza alternative, un album nostalgico e derivativo, suonato da una formazione che sembra aver deciso di provare più convintamente ad ammiccare a un pubblico trasversale e passatista.
13/11/2023