"Wasteland Baby", ovvero il secondo album di Andrew Hozier-Byrne, più semplicemente conosciuto come Hozier, ha messo in luce le non poche difficoltà dell'artista nel dover reggere il successo di "Take Me To The Church", un brano che gli ha regalato le primissime posizioni delle classifiche internazionali nonché un rilevante plauso critico, grazie sia all'intensità del messaggio, la violenza nei confronti dei gay, sia alla sapiente caratura pop-blues, un mix che nel 2014 conquistò anche il pubblico americano.
Il terzo album, "Unreal/Unearth", giunge a quattro anni di distanza dal precedente lavoro ed è il progetto più ambizioso e articolato dell'irlandese. Un set di sedici composizioni per un'ora di musica all'insegna della ricercatezza e del giusto equilibrio tra un elegante suono pop-soul-rock, leggermente mainstream, e una poetica ricca di pregevoli riferimenti culturali e letterari.
Ispirato all'opera di Dante Alighieri, l'album brulica di passione e buone intenzioni, alternando emozioni intense a fin troppo educate pagine musicali disseminate di pur piacevoli cliché. Nel tentativo di smuovere le acque, Hozier ricorre all'aiuto di più produttori - Jennifer Decilveo (Bat For Lashes), Daniel Tannenbaum (Kendrick Lamar), Bekon (Drake), Jeff Gitelman (The Weeknd, H.E.R.) - una scelta che regala a "Unreal/Unearth" un suono d'insieme più convincente, pur restando ancora una volta vittima di eccessi produttivi che appesantiscono l'ascolto (ne è esempio lampante la greve e poco riuscita "Francesca").
Le pagine più soul restano le più valide, a partire dal piacevole falsetto del singolo "Eat Your Young", passando per la riuscita incursione nel funky/r&b di "De Selby (Part 2)" e per la contagiosa euforia afrobeat e soul di "Anything But".
Il musicista irlandese si colloca così all'interno di quel microcosmo soul-pop che va da Paolo Nutini a Lewis Capaldi. Nonostante l'apparente filo comune offerto dalla magia di un concept album, l'atto terzo di Hozier resta vincolato alla necessità di cogliere quell'attimo fuggente che crei una pur breve e fugace empatia con un pubblico sempre più distratto.
È difficile e perfino disonesto non riconoscere a un brano come l'intensa e suggestiva soul ballad "All Thing's End" una genuina forza poetica, o non restare affascinato dalla lieve grazia folk in stile Nick Drake di "I, Carrion (Icarian)".
In verità, Hozier offre più di un momento di piacevole estasi armonica: la tormentata e intensa trama blues-soul-rock alla Van Morrison di "Unknow/Nth", la versatilità pop della briosa "Damage Gets Done" (con un pericoloso richiamo a "Everybody Wants To Rule The World" dei Tears For Fears) e lo slancio lirico di "First Light" ne confermano alfine il talento. Ma nonostante tutto, l'unica pagina realmente memorabile dell'album resta "Butchered Tongue", una suggestiva preghiera soul-gospel-noir che è anche il brano più breve del lotto.
Con "Unreal/Unearth" Hozier sembra comunque aver superato il blocco creativo del secondo album, ci sono sparsi segnali di rinascita artistica e un buon numero di canzoni alle quali regalare attenzione. La strada è però ancora in salita per il musicista irlandese: pur convincente, il suo terzo album non è infatti sufficiente per tirar fuori Hozier dallo status di autore di successo one-off.
01/09/2023