Frizzante, snello e asciutto, sapientemente costruito su ossature cibernetiche e vaghe morbidezze r&b: "Love Hallucination", quarto album in carriera per la canadese Jessy Lanza edito sempre da Hyperdub, ci riporta esattamente sul tracciato ormai familiare. Difficile stupirsi dal suo percorso, più probabile semmai scoprirsi tiepidi di fronte alla solita miscela di leggere pennellate digitali e beat scavati nel metallo, in sostegno a un soprano sottile e impalpabile.
Ma il diavolo sta nel dettaglio - in questo caso, un trasferimento a Los Angeles, come si evince dall'enorme palma che troneggia nella foto di copertina. Da un lato, ecco sole splendente e clima caldo tutto l'anno, dall'altro, un forte senso di alienazione scaturito dall'energia di una metropoli distesa a perdita d'occhio, nella quale anche una musicista dalla carriera consolidata è un moscerino appena.
Ma Jessy si trova a proprio agio ai margini del rumore, anzi è proprio da questo contrasto emotivo tra grandi aperture e riflessioni personali che trae ispirazione per osservarsi minuziosamente allo specchio. Tra nuove tentazioni ballabili e umbratili partiture notturne, scandite da tiepide tastiere tirate a lucido, le undici tracce di "Love Hallucination" inscenano un ascolto solido e ispirato da cima a fondo.
Davvero irresistibile il trio di brani rilasciato in anteprima, ovvero la sgomitante geometria house di "Don't Leave Me Now", il breakbeat in punta di piedi di "Midnight Ontario" e il pizzicotto al cuore di "Limbo", che sblocca ricordi anni Ottanta tramite un gustoso ritornello. La cifra stilistica di "Love Hallucination", insomma, si anima tra istanze squisitamente personali ("Don't Cry On My Pillow", adornata da percussioni uscite da una produzione anni Ottanta di Sakamoto e Jon Hassell), fatati rintocchi synth-funk ("Big Pink Rose"), pulsazioni di un boogie accelerazionista ("Drive") e confessioni a cuore aperto che lasciano poco all'immaginazione ("I Hate Myself", breve dramma ambientato in una foresta di bamboo digitalizzati). Su "Gossamer" l'armamentario sintetico impiegato ricorda i tardi Japan, Jessy sussurra e poi sgomita, attorniata da buffe costruzioni gommose.
Ma non è esattamente tutto qui, perché, dall'altro lato dello spettro emotivo, stavolta Jessy conclude l'ascolto acquietando l'atmosfera verso diradate suggestioni ambient-pop. Ecco un solitario sax notturno chiamato a striare la timida indietronica di "Marathon", e poi il gassoso finale di "Double Time", dinoccolato sopra un'ingombrante drum machine che non fa che rendere ancor più eterea la struttura melodica sovrastante - qualcuno potrà pensare al recente e troppo poco considerato "Waiting Game", l'ultimo capitolo dei colleghi e concittadini Junior Boys.
Non saranno più le brumose filigrane di "Pull My Hair Back" né il footwork di "Oh No", ma con "Love Hallucination" Jessy Lanza consegna un lavoro solido e pertinente, dalla produzione ricercata e mai banale. Niente di nuovo all'ombra del palmeto, ma con mano leggera e una palettte sintetica cautamente collaudata dopo un decennio di studi ed esperienze, l'autrice assicura un ascolto di pop elettronico tra i più frizzanti del 2023.
03/09/2023