Li avevamo amati e lasciati esattamente cinque anni fa, autori di un energico esordio che trasponeva sul rigido formato di un cd o di un Lp il divertente mix di trash-beat-punk-rock’n’roll con il quale i Les Lullies avevano sollazzato per oltre due anni un pubblico assetato di sano e vigoroso garage-rock-pop.
Vittime dell’olocausto concertistico causato dalla pandemia, e fortemente legati al ruolo di musicisti da palcoscenico, i quattro francesi - François Bérard, Manuel Monnier, Roméo Lachasseigne, Thibault Sonet - riemergono dall’immenso calderone produttivo contemporaneo con un secondo album che, pur smarrendo qualche briciolo dell’insana follia dei primi anni, resta saldamente ancorato alla purezza del rock’n’roll underground.
Con “Mauvaise Foi”, i Les Lullies ripartono da dove li avevamo abbandonati, con in più una consapevolezza e una maturità nella scrittura ulteriormente consolidate dalla scelta coraggiosa di accantonare la lingua inglese per il francese.
Registrato negli famosi studi di Château Vergogne, un antico maniero del 18° secolo trasformato in sala di registrazione dove si sono avvicendati artisti famosi come i Bee Gees, David Bowie e i Pink Floyd, l’album sfodera un’irresistibile e divertente sequenza di bignami rock’n’roll e pop-punk che funzionano anche grazie a una buona resa strumentale.
Il richiamo più spontaneo e senz’altro quello ai Ramones - il trascinante rock’n’roll dal ritmo furioso della title track e il graffio power-pop di “Ce Que Je Veux” - ma anche quello agli Eddie And The Hot Rods nell’energico e articolato pop-punk di “Pas De Regrets”, con stop and go, cambi continui di ritmo e armonie e un ottimo assolo chitarristico centrale.
La riuscita cover del classico di Jackie De Shannon “When You Walk In The Room” conferma il passo avanti compiuto dalla band, abile nel gestire più influenze e convogliarle verso un suono personale. E mentre l’ombra di Phil Spector si aggira nella traccia appena citata e nella ricca stratificazione strumentale del pop’n’roll di “Ville Musée”, non è difficile scorgere l’energia dei primi Blondie nella contagiosa “Dernier Soir” (lievi rimandi a “Dreaming”) o le indiavolate performance dei primi pop-punker inglesi nell’esuberante “Station Service”, del rock’n’roll contaminato di r&b in “Soirée Standard” e perfino qualche accenno ai lustrini e ai ritmi ossessivi degli Sweet nell’ultima traccia, “Animal”.
Accertate le innumerevoli fonti di approvvigionamento dei quattro ragazzi francesi, va sottolineato che “Mauvaise Foi” non è manchevole di freschezza, personalità e perfino originalità. Certo, una conoscenza live dei Les Lullies sarebbe senz’altro più corroborante e convincente, ma nel frattempo è cosa buona familiarizzare con il loro repertorio, abbastanza solido da reggere anche il formato Lp.
14/11/2023