Ci sono almeno due potenziali chiavi di lettura per il nuovo album di Maria BC. Una strettamente musicale, dove l’attenzione si sofferma sulle lievi sfumature, le soffuse eppur dissonanti tessiture armoniche, le pregevoli affinità estetiche con il post-rock. Stanca, fluttuante come il dissolversi delle ombre, spesso inquieta, in costante equilibrio tra suoni di synth e accordi sminuzzati di chitarra, non priva di slanci e di romanticherie d’antan, la musica di Maria BC è enigmatica e limpida nello stesso tempo, un viaggio nella nebbia e nell’oscurità che conosce oasi di pace e speranza e invita a profonde riflessioni. Ma è racchiusa nell’altra chiave di lettura la vera ragion d’essere di “Spike Field”: il canto ingannevolmente angelico che cela le attitudini da mezzosoprano, i dissonanti accordi di piano che smussano il fervore lirico, il suono cristallino dei sintetizzatori che stempera la complessità delle composizioni sono scelte creative strettamente legate alle tematiche dell’album.
Gli spike field del titolo sono istallazioni concepite, mai realizzate, per identificare depositi di scorie nucleari, un linguaggio visuale con il quale le generazioni future forse dovranno fare i conti. Le dodici tracce dell’album sono ispirate dal fascino minaccioso di questi campi di punte rivolte al cielo. Ma non v’è angoscia o terrore, nella musica di Maria BC. Sembra quasi che l’autrice nutra una devozione religiosa per questi luoghi immaginari.
La natura contemplativa delle prime due tracce, “Amber” e “Watcher”, è permeata da una bellezza inquieta che l’artista americana prova a lacerare con il graffio dei sintetizzatori del breve interludio di “[ A Backlit Door ]”, primi segnali di un crescendo emotivo che accenna una musicalità più tangibile, fisica (“Haruspex”) e spalanca le porte a una delle prestazioni vocali più intense, “Return To Sender”, ben adagiata su un prezioso tessuto di sintetizzatori e chitarre acustiche.
Rapita dall’immaginario paesaggio, la musica di Maria BC si evolve verso tonalità più cupe (“Tire Iron”). Il canto diventa tremulo e drammatico (“Daydrinker”). La materia sonora lentamente si disgrega tra dissonanze minacciose (“Tied”) e sfocate sonorità di piano che si nutrono di accordi di fingerpicking, glitch, echi di synth e voci (“Still”).
Musica e testi di “Spike Field” sono come istantanee di ricordi che affiorano e seducono l’ascoltatore con ingannevoli oasi di pace (“Lacuna”), prima che un boato armonico spezzi l’incantesimo, gettando un po’ di luce (“Mercury”), prima che l’oscura realtà della title track ridesti perplessità e domande che ancora attendono una risposta.
Il viaggio di Maria BC nello “Spike Field” è un cammino interiore, un susseguirsi di ombre e bagliori che l’artista di Cincinnati trasforma in un evocativo racconto, un luogo immaginario dove confrontarsi con ataviche paure, solitudine e morte, in cerca di un barlume di speranza e candore poetico.
03/03/2024