Il secondo album degli svedesi Melody Fields è una delle sorprese inattese di questo rocambolesco 2023. Con “1901” i cinque musicisti consolidano il proprio ruolo all’interno del movimento neo-psichedelico con un potente uno-due discografico: dopo un solo mese, il gruppo ha infatti pubblicato un secondo disco, “1991”.
Il primo capitolo, nonché il dichiarato punto di forza del progetto, è un album saldamente ancorato al rock psichedelico: le dieci tracce non solo onorano lo spirito pionieristico degli anni 60 e 70, ma ne esaltano la contemporaneità attingendo suggestioni e stimoli da degni eredi della tradizione rock psichedelica come Primal Scream e Spiritualized. I Melody Fields non disdegnando altresì una breve incursione nello shoegaze e nelle tribolazioni dei My Bloody Valentine, disseminando vigore in ognuna delle otto tracce.
Nei cinque anni trascorsi dall’esordio, la band svedese ha preso confidenza con drum machine, sintetizzatori e strumenti orientali, contemporaneamente ha evoluto sapientemente le potenzialità del live set: tutto questo è percepibile in ogni piccolo dettaglio di “1901”. Il vortice psichedelico e il mellifluo suono delle voci di “Going Back” sono un perfetto biglietto da visita per il gruppo; la melodia è seducente e sensuale, al pari di un brano dei Jefferson Airplane o dell’esegesi più pop degli Stone Roses.
L’essenza di “1901” è racchiusa nella splendida “Jesus”, una ballata epica marchiata a fuoco da tinte shoegaze e da un refrain memorabile, un brano che è anche un duro atto d’accusa contro la madre di tutte le guerre e le sventure umane, ovvero la dipendenza da quel cieco fanatismo religioso che spinge l’umanità verso la follia. L’album non si sottrae ad alcuni prevedibili cliché della musica psichedelica, tra accenni allo space-rock dei Moon Duo in “Mellanväsen” e commistioni con il funk in stile Goat, questi ultimi peraltro coinvolti come ospiti nel progetto, dai quali scaturiscono inebrianti groove psych-rock (“Transatlantic” e soprattutto “Home At Last”).
Armonie e blande distorsioni, riff minimali e ossessivi e un’enfasi tipicamente rock sono gli elementi base di un disco efficace e convincente. I Melody Fields coltivano con passione uno stile psych-rock dove meditazione, spiritualità e trance ipnotica sono al centro della musica, sia che si colori dell’immediatezza tipica del pop-rock (“Rave On”) che dell’indole speculativa delle fughe strumentali (“Mellanväsen”, “Void”).
Ulteriori punti di forza dell’album sono le potenti vibrazioni di “Indian MC”, un brano dalle vaghe arie orientali che stemperano un possente muro del suono dove il basso predomina e tiene alta la tensione; di egual spessore la travolgente “In Love” uno dei refrain chitarristici e vocali più contagiosi dell’album (Verve meets BRMC), nonché potenziale singolo per un ingresso più deciso nel mercato internazionale.
Ai sei minuti della velvettiana “Mayday” è affidata la chiusura dell’album, un brano scritto appositamente per la band da Klaus Dinger dei Neu!, in cui la melodia si evolve con un passo decisamente più lento e ipnotico, per un’immersione nel fascino lisergico della musica anni 70 non priva di geniali intuizioni strumentali, come un lieve controtempo nei pur vellutati ritmi e l’etereo sincrono tra carillon, arie orientali, scampoli shoegaze e fluttuanti sonorità di synth. E' un brano che sigilla con classe un album che troverà senz’altro un posto nel cuore degli amanti del rock psichedelico.
30/11/2023