Petite Noir

MotherFather

2023 (Roya / Because) | noirwave, indie-rock

Arduo è il cammino del musicista nell’era digitale, dove l’attenzione dura meno di un respiro. Ancor più arduo quando stili e geografie si spingono fuori dal selciato dell’immediatamente impacchettabile per l’era di TikTok. Ma è qui che incontriamo nuovamente Yannick Diekeno IIunga, di famiglia congolese ma nato in Belgio, cresciuto in Sudafrica e adesso diviso tra Londra e Parigi per ruotare attorno al consorzio Because. L’avevamo conosciuto tanti anni fa con “The King Of Anxiety”, un Ep col quale questo carismatico artista dalla voce profonda e vibrante espandeva il concetto di new wave vecchia e nuova, rinominandola, a sua immagine e somiglianza, come noirwave. Nel mezzo, ci sono stati un album di debutto e collaborazioni sparse, eppure “MotherFather” è un ritorno insperato e quasi non preventivato, nato certamente più per passione che non per assecondare chissà quali strategie di carriera. Un indotto sempre molto risicato, infatti, dovuto anche al fatto che l’idea di “rock” ha perso peso nell’era streaming; eppure Petite Noir torna all’assalto sempre impettito, calato con convinzione nel ruolo di artista a tutto tondo, a partire da una foto di copertina dalla posa plastica che paga omaggio a un famoso album di Seal.

Con dieci tracce per meno di mezz’ora di durata, “MotherFather” aggredisce e lamenta allo stesso tempo, illustrando il concetto di noirwave anche per questi anni Venti; sin dalle mitragliate di batteria nell’apertura di “777”, e i successivi nervosismi dell’obliqua “Blurry”, a un passo da certi Bloc Party, Petite Noir non fa segreto di un gusto limpido e massimalista che sa farsi ruggente.
Ma si fa in un attimo a declinare la proposta verso atmosfere più propriamente indie, che non disdegnano né inserti digitali né radici africane; l’epica coltre gaze di “Concrete Jungle” muove le corde del cuore su densi tappeti di violini, le interessanti soluzioni strumentali di “Simple Things”, con l’aiuto di Theo Crocker, inscenano un’urbana marcetta jazz in totale contrasto con le liriche di protesta, mentre la strascicata “Numbers” indugia col fare bofonchiante di un King Krule.
Certamente l’atmosferica deriva ambient/slowcore di “Love Is War” confonde le idee, quel filtro applicato alla voce toglie il pathos del quale l’autore è solitamente in pieno possesso. Poco male, quando nel finale “Play” l’autore offre un arioso melodismo degno del Kele più ispirato.

L’impressione è che Petite Noir abbia ancora da consegnare l’album definitivo col quale balzare all’attenzione del pubblico. Manca anche un pezzo-chiave in grado di spingersi nei meccanismi della Rete e portare acqua al mulino per accrescerne il profilo - in questo, il Nostro ha più in comune con L.A. Salami, Nakhane, Kwaye e altri cantori dal talento di confine. Ma nel mentre, “MotherFather” è un ritorno solido, emotivo e pertinente, col quale Petite Noir continua a scavare il proprio posto nel mondo.
Non sarà quindi occasione di grandi trionfi, ma chiunque abbia a cuore le sorti della musica indipendente, e delle scelte stilistiche libere da compromessi, può trovare in “MotherFather” uno sfogo di vitalità e finanche di speranza che non disdegna una limpida immediatezza melodica – la qui presente “Finding Paradise” è particolarmente amorevole nel testo e avvolgente nell’incedere ritmico folk/psichedelico, trascinando tutti sotto al palco in attesa della prossima mossa.

(16/05/2023)

  • Tracklist
  1. 777
  2. Blurry feat. Sampa The Great
  3. Numbers
  4. Concrete Jungle
  5. Skit
  6. Finding Paradise
  7. Simple Things feat. Theo Crocker
  8. Best One
  9. Love Is War feat. Raphael Futura
  10. Play




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