Rune Eriksen, conosciuto con il nickname Blasphemer, è uno dei tanti personaggi chiave della scena estrema norvegese: se in passato lo abbiamo visto all’opera nei Mayhem (dal 1994 al 2008) e negli ancora attivi black-thrashers Aura Noir, in tempi più recenti il musicista scandinavo ha allargato gli orizzonti, prima con gli ottimi Vltimas (in compagnia di David Vincent, ex-Morbid Angel) e infine con questa sua personalissima creatura denominata Ruïm.
Pur restando ancorato nella più solida malvagità black metal, questo disco (almeno a livello concettuale) mette in mostra la nuova pelle di Rune Eriksen, ormai cittadino portoghese a tutti gli effetti dopo aver sposato Carmen Simões, già voce dei disciolti Ava Inferi. La permanenza in terra lusitana ha fatto scattare in lui un forte interesse per l’Umbanda, un culto sincretico afro-brasiliano nel quale è possibile comunicare con i morti. Spiritismo, esoterismo e non solo, soprattutto per quanto concerne i testi, perché la musica dei Ruïm, in realtà, non ha molti appigli con questi riferimenti che si affacciano dalla parte opposta dell’oceano.
A tal proposito, si potrebbero scomodare gli affondi in lingua portoghese (in particolare, quelli presenti nel break atmosferico di “Ao Rio” o nella ferale chiusura affidata a “O Sino Da Igreja”), ma il succo dell’album ha un sapore inconfondibile, quello della storica band in cui Blasphemer militava: gli indizi sono tanti, a cominciare dal recupero di alcuni riff finiti nel cassetto e mai utilizzati per i Mayhem, senza dimenticare il tributo incarnato da una versione modernizzata di “Fall Of Seraphs” (pezzo contenuto nell’Ep “Wolf’s Lair Abyss” dei norvegesi, scritto da Blasphemer nel lontano 1995). Il confronto con l’originale è una battaglia ovviamente persa, nonostante il valido supporto dell’ospite Proscriptor McGovern (ex-Absu) dietro al microfono.
Affiancato in studio dal giovane batterista francese César Vesvre, Rune Eriksen (qui voce, basso e chitarra) non nasconde la sua passione per alcune tentazioni di marca thrash, al di là della profonda ossatura black metal del prodotto, quella capace di regalarci le soddisfazioni più importanti. È il caso della tripletta posta in apertura, tre composizioni eccellenti in cui il songwriting di Blasphemer ritrova forma e sostanza, tra infernali dissonanze e continui cambi di registro.
Impetuoso e oscuro nel suo incedere, “Black Royal Spiritism” si rivela così un buon album a cui manca però la scintilla decisiva per risultare ottimo, complice una seconda parte meno brillante e ispirata (ma non per questo da trascurare). Il sentiero è tracciato.
01/06/2023