Why should I live in only one skin?
La possibilità di essere chiunque si desideri mostrando agli altri una maschera, oppure sfruttarne una in particolare come se fosse una lente in grado di indagare e svelare le vere e molteplici sfaccettature del proprio animo, offrendosi al mondo così come si è. Da tale dualismo nasce l’idea narrativa alla base del progetto Trust The Mask, puzzle composto da musica di matrice electropop e un alfabeto di simboli che intreccia testi e performance dal vivo.
All’interno del debutto “Idiom”, il duo veneto formato dalla cantante Vittoria Cavedon e dalla compositrice e polistrumentista Elisa Dal Bianco mescola dettagli di musica elettronica ed etnica, elemento posto in risalto dalla presenza di strumenti a fiato molto particolari, ovvero il duduk, antico aerofono armeno in legno, il suling, flauto di bambù indonesiano, la zhaleika proveniente dalla Russia, e l’alboka dai Paesi Baschi, suonati su disco da Giuseppe Dal Bianco. Le influenze di riferimento includono l’approccio sperimentale degli ultimi Young Fathers, le pulsazioni futurepop dei PVA, il gelido e sofisticato connubio synth-pop-darkwave del duo Boy Harsher e l’intensità di Zola Jesus, Grimes e Florence + The Machine, mentre il tema focale dell’opera è la ricerca di un sistema di linguaggio attraverso il quale connettersi con il mondo circostante e sviluppare nuovi legami.
L’album si apre con la fine di una relazione espressa nella valida e rarefatta “Juniper”, allungando la coda della stessa con la traccia ponte, tirata forse un po’ troppo per le lunghe, “It's A Matter Of Fact”. Il brano si getta in un abisso ipnotico che miscela trance music, esotismi e dettagli che richiamano “Okovi” di Zola Jesus e alcune produzioni minimali di Björk, dove il “dato di fatto” in questione viene ricondotto alla sola frase “Inter faeces et urinam nascimur”, locuzione latina utilizzata per esprimere un giudizio di condanna sull’esistenza e sulla condizione umana fin dalla nascita. A farsi notare maggiormente sono i pezzi creati insieme al batterista Matteo Vallicelli (The Soft Moon), che comprendono le trame leggere e accattivanti di stampo eighties in stile Ladyhawke della più efficace “Otaku” e i beat e i battimani del pop danzereccio e radio-friendly à-la Chvrches di “Will You Come?”, sebbene proprio quest'ultimo non brilli troppo per originalità.
Si prosegue con la lettera di scuse alla Terra “Our Fault”, il crescendo sintetico retto principalmente dalla voce di Cavedon in “Unsaid” e i fiati sottili dell’armonica “Spring”. Ulteriori passaggi rilevanti sono rappresentati dalla più astratta “Frontiers”, nella quale il duo è affiancato da Cemento Atlantico, al secolo Alessandro Zoffoli, e riesce a evocare molto da vicino lo spirito del recente e luminoso “Heavy Heavy” degli Young Fathers, e dall’oscura “Loaded Gun”, scritta e cantata insieme a Francesca Morello, in arte R.Y.F., presente nel brano anche in qualità di chitarrista.
Arricchita dagli svolazzi di archi sintetici, la scricchiolante “Magnets” funge da anticamera per la conclusione ceduta ai cupissimi glitch della robotica “Murder Flashback” e all’amara “You’re Not Fine”, dove il pensiero vola verso un altro duo sperimentale che ha colpito positivamente con il suo recente debutto, i Jockstrap.
Il percorso tracciato da “Idiom” si snoda a più riprese tra la riconnessione con l’altro e lo spazio circostante, e soprattutto l’accettazione (più o meno sofferta) dell’inesorabilità del fattore tempo, ponendo l’accento sulla qualità di scrittura in crescita e sull’intenzione di trovare un equilibrio tra sperimentalismo e sonorità accattivanti. Al netto di qualche riempitivo e leggerezza riscontrata nelle tracce più orecchiabili, la carne messa al fuoco è parecchia (forse anche troppa) e vale la pena lasciarsi sedurre dall’immaginario del progetto Trust The Mask, per tenere d’occhio il suo operato in vista di possibili sviluppi futuri.
15/09/2023