Dopo le ultime esperienze soliste, Will Butler riparte da un progetto a conduzione familiare. Nel quartetto Sister Squares militano, infatti, la compagna Jenny Shore e la cognata Julie. L’ omonimo album composto per l’occasione è espressamente pensato per adattare la voce calda del cantante canadese alle strambe atmosfere festaiole del collettivo. Messe da parte le suggestioni indie-rock e folk dei precedenti lavori, Butler incalana la sua versatile curiosità musicale in un pop dai ritmi giocosi e vivaci da dancefloor.
I brani più diretti e accessibili occupano la prima parte del disco. “Willows” è forse una delle canzoni che meglio rivela la sua lunga militanza negli Arcade Fire, riprendendo ampiamente l’estetica di “Everything Now” che, del resto, è anche l’ultimo lavoro nel quale ha preso parte. “Long Grass” è un omaggio alla musica da ballo degli anni Ottanta, con le parti vocali che ricordano molto il Bowie dell’epoca di “Let’s Dance”. “Saturday Night” è l'episodio più vivace e allegro, con il coro delle “Sorelle Quadrate” che irrompe nel ritornello e si sovrappone alla voce malinconica di Butler. Il ritmo di questa canzone si intravede in sottofondo anche nella precedente “Me & My Friends”. L’idea di sovrapporre le tracce contigue è ricorrente in questo lavoro, ed è probablmente concepita per accentuare un’idea di fluidità e di movimento che nella dimensione live è ancora più evidente con le eccentriche coreografie a supporto dei brani.
La seconda parte dell’album è quasi irriconoscibile rispetto alla prima. La frammentarietà che ne deriva è forse uno degli elementi di debolezza più evidenti di questo disco di debutto. “Car Crash” ha un suo fascino, con la voce lagnosa di Butler accompagnata da un pianoforte triste che viene lentamente illuminato da un synth e da un coro di voci ultraterrene. “Arrow Of Time” inizia con un bel giro di basso e con un groove funk anni 80; nel ritornello, però, la voce diventa frenetica e nervosa e il ritmo deborda in una non perfettamente riuscita transizione.
Difficile trovare un filo conduttore nelle restanti canzoni. “Good Friday, 1613” riprende l’idea del coro spettrale già utilizzato in “Me & My Friends” ma con minor profitto, “I Am Standing In A Room” è uno strano esperimento con un cantato biascicato alla Tom Waits, ma con un testo surreale e ironico.
Lo spoken word di "Hee Loop" e le suggestioni classiche di “Window”, con l’omaggio a Chopin, chiudono un lavoro riuscito solo a metà. Coeso e compatto nella prima parte, l’album appare come un esercizio di stile nella seconda. Certamente, tra le variazioni stilistiche, si intravedono squarci di creatività e interessanti esplorazioni. Evidentemente i membri stanno ancora scoprendo la loro voce collettiva, e l’album di debutto è un’istantanea di un gruppo che sta ancora cercando di trovare il suo baricentro.
16/11/2023