Doveva ritirare il nome Actress ormai tanti anni fa e passare ad altro. Invece Darren J. Cunningham è più impegnato che mai, prima con "LXXXVIII" (2023) e quest'anno con "Statik", undici nuove brumose composizioni elettroniche al confine tra techno, ambient e frattaglie glitch, zuppe di nebbia autunnale. Un mondo tutto suo, nel quale il tempo non sta necessariamente fermo ma avanza a un ritmo diverso rispetto al resto dei caroselli dell'elettronica contemporanea. Lontano dalle più eccitate tendenze dei club londinesi, infatti, Actress continua il proprio percorso a muso duro, senza guardarsi attorno, un modo di fare particolarmente schivo, che adesso l'ha portato in Scandinavia, nel quartier generale della Smalltown Supersound. Titolo e immagine di copertina alludono ad atmosfere plumbee e umorali, come già intrapreso da "Karma & Desire" quattro anni fa, ma sono i nomi delle tracce in scaletta a offrire l'indizio più pertinente circa i contenuti: un suono acquatico e profondo, screziato di ritmo e interferenze radio, immerso sul fondale di un cuore ambient.
Certo, aprire il disco con un brano chiamato "Hell" è chiaro intento provocatorio, ma tra sibili statici e beat disarticolati, il brano vaga a intermittenza lungo oltre sei minuti d'incomunicabilità d'autore, scoprendo pregi e difetti di un producer altamente idiosincratico - situazione poi esasperata dai successivi intermezzi brevi "Static" e "My Ways", che alzano il livello di paranoia su un sordo pulviscolo digitale.
È dunque con l'espansiva "Rainlines" che il disco prende finalmente quota, tramite esotici richiami new age, poi si tuffa con nuda emozione nel pulviscolo di "Ray", espletando finalmente quello spleen che Actress tiene troppo spesso nascosto. Ammirevole l'idea attorno a "Café del Mars", che travisa le celebri raccolte lounge in un marziano tocco progressive electronic reminescente dei lavori di SSIEGE e Ana Roxanne, mentre una secca ma pertinente sterzata di drum machine fa di "Dolphin Spray" il brano più semplice e descrittivo in scaletta. E se "System Verse" travisa nuovamente la cullante calma acquatica in un minaccioso volo di uccelli meccanici, le gassose tastiere di "Doves Over Atlantis" sfumano dentro un obliquo paesaggio sci-fi, sulla scia di Huerco S. e delle lisergiche esplorazioni boschive di GAS.
Al decimo album di studio, Actress continua quindi il proprio cammino in solitaria, piegato sul mixer senza badare al pubblico raccoltosi attorno. Ascolto denso e talvolta troppo muto nella ricerca timbrica, "Statik" paga per uniformità d'approccio e manca di quel guizzo in grado di farlo scattare nuovamente alla ribalta della scena elettronica, come ai tempi di "Splazsh" e "R.I.P.".
Ma l'intento di un album strumentale non è mai così apparente come si crede, anche a consumarne a pacchi ogni mese: con un orecchio teso alle frequenze del cielo notturno, e un nervosismo sempre presente appena sotto il filo della manopola, Actress si conferma producer d'elezione per quei momenti d'intenso silenzio dell'anima.
04/11/2024