Un mondo sonoro in cui la tensione rimane sempre soffocata ma costante, fotografata un istante prima di palesarsi; complesse intelaiature di glitch ritmici sublimate da misurate dissonanze sintetiche dai colori cristallini. Cosa sia esattamente "Apnea", il più recente lavoro del sound artist Alberto Boccardi, lo rivela lo stesso autore nelle note al disco, definendolo "una testimonianza dei cambiamenti che si nascondono nel microcosmo dei legami familiari, contrapposti al quadro più ampio della vita quotidiana e alle immagini di sé che rimangono incollate al passato".
L'idea di rappresentare il senso di disorientamento provocato dal lento ma inarrestabile mutare delle persone a noi vicine (i nostri figli, soprattutto) è dunque il nucleo ispirativo dell'album: un concept certamente intimo di cui l'autore offre la personale interpretazione artistica, articolata in nove variazioni della stessa idea musicale, costruite intorno a pochi pattern - in origine indipendenti e scollegati tra loro - e rielaborati nel corso di lunghe sessioni di libera sperimentazione.
Si dimentica troppo spesso quanto l'autolimitazione possa giovare al processo creativo. Decidere volontariamente di ridurre al minimo i colori timbrici concentrandosi sull'esplorazione delle loro intrinseche peculiarità ha reso "Apnea" un oggetto piuttosto misterioso rispetto alle numerose produzioni ambientali sovraccariche, in cui ogni singola traccia prevede un organico differente. Naturalmente, sono soltanto approcci diversi ed entrambi validi se si ha una visione nitida del risultato da conseguire. Ciononostante c'è qualcosa di poetico nei dischi registrati con pochissimi strumenti e questo, con la sua rigida impostazione quasi cameristica, ne è un esempio.
Gli arpeggiatori in entropia di "Apnea III", la metrica forzata di "Struttura cristallina, ordinamento, densità", l'intrico di bordoni e pulsazioni ritmiche asincrone di "Sessantacinque" sono tracce contraddistinte da movimenti sonori sottocutanei che conducono a stati percettivi anomali, in animazione sospesa tra passato e presente.
A voler essere onesti, il disco si sarebbe potuto chiudere all'ottava traccia: la conclusiva "Stato solido II" purtroppo sovverte la regola dell'omogeneità a favore di timbriche piuttosto datate, prese di peso dalla trance anni duemila, in un tentativo non del tutto riuscito di rivisitarle. Forse soltanto un vezzo dell'autore, facilmente perdonabile considerando la qualità di ciò che precede.
22/08/2024