Terzo album per i Beatenberg, il primo dopo cinque anni d’apparente silenzio, un periodo di tempo che i tre musicisti, Matthew Field, Robin Brink e Ross Dorkin, hanno trascorso in cerca di un nuovo assetto musicale, tentando nello stesso tempo di superare il gap post-pandemia che li ha visti spostarsi da Città del Capo in quel di Londra.
L’indie-pop del trio sudafricano ha radici sia nella colta contaminazione
made in New York di
Paul Simon era “
Graceland”, che nell’effervescente esordio dei
Vampire Weekend, anche se i Beatenberg prediligono soluzioni decisamente più accessibili. La contagiosa leggerezza dell’album è figlia del pop
anni 80 e
90, ma più che la nostalgia i Beatenberg prediligono la spensieratezza, alle tentazioni indie la band sudafricana supplisce con pulsanti ritmi afro-dance e sdolcinatezze pop alla Haircut One Hundred.
E’ un disco anomalo, “The Great Fire Of Beatenberg”, dietro le colorate sonorità elettro-dance (“Branches On A Tree”) e l’esotismo
balearic beat (“Eau De Toilette”), ci sono l’urgenza dello zulu-folk (“Worth More”, “Wheelbarrow”) ma anche un romanticismo credibile e suadente (“When I Fall Asleep”, “Green Bird”).
I Beatenberg sono un raro esempio di pop raziocinante, che anche un ascoltatore esigente può trovare godibile. Brani come “Bath Towel”, “Gold Mine” e “Night Bus” sono un alito di vita e lasciarsi sedurre da tanta semplicità non è poi una colpa.
08/12/2024