Lontano dal moniker Hecq, il berlinese Ben Lukas Boysen giunge al quarto album firmato a suo nome. Autore di numerose colonne sonore per l'intrattenimento audiovisivo e con una iniziale formazione musicale orientata verso il classicismo (la madre è stata cantante d'opera) Boysen non si riconosce in nessuna specifica corrente musicale, preferendo esplorare con eclettica disinvoltura generi e stili diversi. Nelle intenzioni, "Alta Ripa" vuole essere un ritorno alle origini e un punto di contatto tra le diverse anime dell'artista tedesco.
Fin dall'iniziale “Ours” si stabiliscono coordinate sonore essenzialmente elettroniche, tra rotondità di filtri, bordoni ingolfati, arpeggiatori e percussioni analogiche. È il reame della sintesi modulare che il musicista tedesco utilizza con perizia, ma anche con eccessiva maniera e soprattutto senza addentrarsi in sperimentazioni esoteriche: in sostanza, electro-ambient da salotto e chill-out gasati da una vena techno, il solito cut-off ad allargare il panorama sonoro e poco altro.
Nulla che faccia gridare al miracolo (o perlomeno alzi un po' il livello di interesse) ma va riconosciuta a Boysen un'elevata attenzione alla qualità della produzione. Purtroppo le cadute di stile non mancano e in un disco già non proprio ispirato, queste risultano al limite dell'imbazzante. È il caso di “Quasar”: già nel titolo non è questa botta di originalità, ma all'ascolto è anche peggio, rivelandosi adatta per lo più a sonorizzare qualche video amatoriale in cui ti spiegano come smontare il rubinetto del lavandino.
Gli allunghi morbidi e contemplativi della title track e la ritmica squadrata di “Nox” (più che probabile tributo a Jarre, i suoni ci sono tutti) recuperano in extremis un po' di terreno fino a “Vineta” - scritta in collaborazione con Tom Adams - sicuramente la traccia più interessante, a patto che si riesca a digerirne l'ingombrante estetica seventies di cui è permeata, tra aperture epico-barocche di voci e tastiere in magniloquente arpeggiando.
Disgraziatamente, con “Fama” tornano gli anni 90 e con essi siamo di nuovo sulle montagne russe di uno schizofrenico passare da un decennio a un altro, senza trovare mai un baricentro o un comune denominatore che non sia la mera timbrica pseudo-analogica.
Alla conta dei fatti, “Alta Ripa” è sì tecnicamente ineccepibile nella produzione, ma lascia all'ascolto una sgradevole sensazione di superfluo. Non emerge un'identità definita né si avverte il tentativo di cercarne una.
22/01/2025