La nuova macchina da guerra dell’ex-leader dei
Led Bib, Mark Holub, è uno sbilenco trio avant-
prog messo in piedi con l’aiuto del vecchio amico e produttore Mark Janka, qui nel ruolo di chitarrista, e dell’ex-componente dei Barbez, Pamelia Stickney, nel ruolo di suonatrice di theremin e
vocalist.
“Lutebulb” è il quinto disco della band, un altro frenetico e dilettevole viaggio tra jazz, rock ed elettronica, sei composizioni comprese tra un'esigua traccia di un minuto e quaranta e un’estenuante
suite di ben quattordici minuti e ventiquattro secondi.
I Blueblut restano maestri di quell’imprevedibilità che in passato era appannaggio di artisti come
Henry Cow, i primi
Pink Floyd e
John Zorn. Le composizioni sono come delle masse molli che tutto inglobano e assimilano, dando forma a composizioni tanto colte quanto disobbedienti delle regole strutturali.
Con il suo quasi quarto d’ora di gloria, “Arrobark” è giocoforza il centro nodale dell’album, anche se oserei dire che è più un centro "snodale" a causa delle tante dissonanze di stile, tra elementi
post-rock che si fondono con ritmi e percussioni dalle variopinte matrici etniche,
groove distopici che hanno l’oscura magia dei
Primus e il piglio
free-form dei
Can, l’abbaiare dei cani che stride al pari delle corde strappate della chitarra elettrica, nonché rigogliose incursioni di elettronica e theremin che creano tensione e terrore.
A seguire ci sono i soli 100 secondi di “Tuna”, una dissacrante alterazione del suono del theremin, che fa da apripista all’irriverente versione garage-rock di “Tequila”, che svincola ulteriormente la band dalle coordinate tipiche del prog-rock, mentre con “Kaktusgetränk” i Blueblut regalano un concentrato di pura follia avant-rock.
Che “Lutebulb” sia un geniale dileggio della sacralità della musica rock e contemporanea è comunque palese già dalle prime note dell’album. Il tentativo di tener fede a una costruzione ritmica e melodica della giocosa “Cocktail” è un’autentica delizia per le orecchie, ormai impigrite da anni e anni di rigore musicale. Di egual fatta la più seducente “Clarinot” che, pur disturbata da ritmi frastagliati e suoni oscuri di theremin, tiene salda la linea melodica primaria.
Scelto come singolo, “Aumba” è il brano più poetico e descrittivo, colorato da eleganti e complesse partiture jazz-rock, e da suggestivi
sample di cori bulgari, alfine unico elemento di abbellimento estetico di un disco che affida tutti i suoi pregi a sonorità essenziali e grezze. Un’altra irresistibile produzione per il sempre geniale Mark Holub.