Sono ben dodici gli album della formazione vicentina Casa, creatura del fondatore Filippo Bordignon, passata dell'alternative rock a lavori sempre più sperimentali. “Cuore esicasta” prosegue il percorso sperimentale degli ultimi anni con uno spirito particolarmente meditativo, di un musicista che si allontana dal mondo per rifugiarsi in luoghi solitari, possibile in tempi passati molto lontani dal presente.
Partendo da registrazioni decisamente deteriorate, Bordignon rielabora brani blues di circa un secolo fa, cercando di donare loro una nuova vita tramite manipolazioni e sovraincisioni ("Sorelle di Bingen”, “Meister”). Il passato sembra divenire un rifugio sicuro, forse persino un’ossessione, pura hauntology che potrebbe stare tranquillamente in qualsiasi album del progetto Caretaker.
Il fantasma onnipresente della prima musica registrata nella storia fa divenire l’album una sorta di museo di memorie musicali, come in “A Suso” o in “L’attimo increato”, rapidamente sommerso da una ondata elettroacustica che prosegue nella successiva “Luce taborica”, devastata dal suono delle tromba.
La meditazione raggiunge la massima enfasi in "Il cielo al di sotto", canto religioso dal substrato ambient che si degrada minuto dopo minuto.
Il rock, seppur completamente destrutturato, fa capolino nei sette minuti di “Deserto paterno", che potremmo definire rock’n’loop e che termina in una preghiera a due voci che si ripetono, una via di mezzo tra il minimalismo delle origini di “Come Out” di Steve Reich e il finale a più voci di “Miss Fortune” dei Faust.
12/11/2024