Leggi un titolo quale "The Sky Will Still Be There Tomorrow" e ti domandi quale sentimento lo abbia animato. Fatalismo? Speranza? Quieta accettazione? A tenere in considerazione chi è Charles Lloyd, uno che in gioventù se la faceva con i migliori bluesman in circolazione e che ha suonato accanto alle più grandi leggende del jazz e che ha precorso e integrato le musiche tradizionali di tutto il mondo sin dalle sue prime pubblicazioni, viene da rispondere che si tratti di un atteggiamento sereno vero la vita, un'accettazione non priva di una specifica riflessività, che l'ottantaseienne sassofonista riversa in un doppio album commosso e appassionato, il frutto di una vita dedicata alla musica, che negli ultimi anni gli sta fruttando diverse soddisfazioni.
Realizzato assieme a un terzetto di musicisti-amici di grande esperienza (Jason Moran al pianoforte, Larry Grenadier al contrabbasso, Brian Blade alla batteria) il lavoro ribadisce tutto il gusto di Lloyd per un sound intenso ma dotato di una sua specifica soulfulness, in cui composizioni originali e rimaneggiamenti di brani del passato si danno il cambio con istintiva lucidità, evidenziando al contempo l'intesa vincente del quartetto.
In questo desiderio di serenità, non si può non tenere conto delle condizioni che hanno influenzato l'ideazione del disco: già concepito quattro anni addietro, vede la sua genesi nel riemergere della violenza e nel clima di assoluta instabilità dovuto alla pandemia, il disco ha poi subito costanti rallentamenti e posticipi, fino a raggruppare gli altri amici e dare il via alla registrazione. Turbolenza e preoccupazione che confluiscono in un disco di risoluta opposizione, incentrato nell'esaltare tutta l'umanità del ricordo, tutta la forza di un gesto musicale che paga omaggio ai grandi della musica afroamericana, e allo stesso tempo scrive la sua personale poesia.
Trova quindi sin dall'inizio uno sbocco di pregio con "Defiant, Tender Warrior", tutta concentrata a mostrare l'eleganza del sassofono e l'acuta sottigliezza del pianoforte di Moran (con cui Lloyd aveva già collaborato nell'ottimo "Hagar's Song"), per poi costruire su questo stesso inizio una progressione di maestosa quanto istintiva espressività, che non disprezza parentesi più contemplative (le melodie sospese di "The Lonely One") ma viaggia soprattutto sull'onda di una tenace quanto quieta distensione, che trova anche il modo di mostrare la sua anima più divertita (l'avvincente stride di "Monk's Dance").
In questa parata di fascinose vignette dal tocco cool, vivide come il più fulgido degli autunni, la memoria va e viene con forza immutata, lascia affiorare icone e amici, ora sfruttando direttamente il loro repertorio (il requiem-omaggio "Booker's Garden", in cui Lloyd, col flauto tra le mani, dona un senso di vispa spiritualità al lascito del trombettista Booker Little), ora procurandogli un contesto totalmente diverso, attuale, come se intramontabili sempreverdi del passato fossero stati scritti negli anni Venti (il tema di "Strange Fruit" a fare capolino negli sparsi arrangiamenti di "The Garden Of Lady Day"). Quel che conta è rivelare sempre la verità del proprio essere, porsi a tu per tu con la storia, specialmente la propria, con tutte le ingenuità e gli errori che l'hanno contraddistinta.
In un secondo disco che fa suoi linguaggi più "spiritual" (sicuramente ben più riflessivi) si chiarisce pienamente la natura di un lavoro che manipola il tempo con estrema destrezza, sprigionando giovinezza e terza età nell'arco di uno stesso brano (i quindici minuti di "Sky Valley, Spirit Of The Forest"), avvalendosi di tutto l'expertise di un organico strumentale che dà il meglio di sé agendo di fino, descrivendo con accorta sensibilità le pieghe e i misteri di un'esistenza vissuta a pieni polmoni.
Nei suoi picchi emotivi e nelle sue dediche (non meno importante quella a Nelson Mandela nel nuovo, onirico arrangiamento di "Cape To Cairo", già presentata in "All My Relations" del 1995), nel raccontare e nel continuare a sognare, il cielo di Charles Lloyd parla chiaramente la lingua di una speranza sconfinata, non dimentica di tutta la tristezza circostante, ma proprio per questo ancor più splendente, perfettamente rispondente alla placida esperienza di un giovanissimo ottantaseienne. Tutt'altro che un album della tarda maturità, "The Sky Will Still Be There Tomorrow" è l'attestazione di una mente straordinariamente attiva.
11/10/2024