Occhi che puntando il cielo si fanno tramite tra la profondità dell’essere e la vastità del Cosmo, legame sensoriale tra l’uomo e l’ambiente da cui scaturiscono pensieri di infinito. A questa connessione permeata da insondabile mistero è dedicato l’ultimo tracciato sonoro plasmato da Félicia Atkinson, nuova esperienza liminale costruita incrociando aspetti peculiari delle diverse arti a cui si dedica, fusi in un insieme sinestetico profondamente immaginifico.
A dirigerci attraverso i flussi elettroacustici definiti dall’insieme di partiture melodiche essenziali, field recordings e substrati sintetici è il suono diafano del pianoforte. Attorno alle sue note misurate, che a tratti non disdegnano la dissonanza, si sviluppa incessante un coagulo di suoni e riverberi, dando forma a visioni rarefatte dalle quali emergono screziature sottili (“Sorry”, “Shall I return to you”) e le abituali recitazioni sussurrate in modalità asmr (“This Was Her Reply”, “La pluie”).
È soprattutto nelle declinazioni più estese che la pratica della Atkinson trova pienezza, nella costruzione di piani sequenza immersivi i cui costanti cambi di prospettiva – determinati dal modo in cui i suoni sono stati catturati – e differenti livelli di dettaglio privano l’ascoltatore di punti di riferimento. I quasi tredici minuti di “Thinking Iceberg”, estratti da un’esecuzione live di durata ben più ampia, in bilico tra movenze sinuose di synth luminescenti e il ribollio materico degli echi ambientali, sono emblematici in tal senso, configurando una deriva straniante priva di approdo definitivo.
Tra collage sonoro, minimalismo elettronico e ambient scaturisce così una nuova traiettoria aurale, che narra l’universo interiore attraverso l’osservazione dell’infinito, sintetizzata in una narrazione che ancora una volta ci accosta all’enigma dell’esistenza senza offrire risposte.
05/12/2024