Con il passare del tempo, è diventata sempre più netta la diversificazione progettuale tra il trio dei Fire! e l’ensemble ampliato della Fire! Orchestra.
Il free-jazz resta territorio comune delle due formazioni; ciò che differenzia i due fronti espressivi di Mats Gustafson, Andreas Werliin e Johan Berthling è una sempre più essenziale struttura strumentale del progetto Fire!, scelta che l’ultimo album “Testament” spinge all’estremo con un rigido set – sassofono, basso e batteria – e con un’attenzione alle radici del blues e alle primigenie produzioni jazz.
Per l’album forse più monocromatico e basilare della loro discografia, i Fire! hanno chiesto a Steve Albini di farsi carico del ruolo di produttore, risvegliando l’approccio più hard’n’heavy dell’album “The Hands” senza però ricalcarne l’evoluzione.
Cinque brani asfissianti, intelligentemente vicini alla seducente arte del disagio che è linguaggio espressivo anche di quei germi kraut-rock che non smettono mai d'infestare le strabilianti geometrie del trio, presenti in particolare sulla devastante e ingegnosamente anarchica “One Testament. One Aim. One More To Go. Again”, un brano che sembra quasi voler contraddire l’avvincente bellezza del groove che infiamma invece “Running Bison. Breathing Entity. Sleeping Reality”, un blues che pian piano si prosciuga da sangue, sudore e lacrime per un’esplosione di candida furia che anticipa un ingannevole ritorno alla normalità, ultimo grido di un’apparente normalizzazione che incute terrore.
Da eguale rigore è pervasa la breve “Four Ways Of Dealing With One Way”, in cui la batteria detta luoghi e tempi, mentre melodie monotonali tentano di arginarne lo spirito free, anche in questo caso in antitesi con la traccia che la precede, “The Dark Inside Of Cabbage”, nella quale le dissonanze e le discordanze creano una dolente e magica aura sonora.
Con “Testament” i Fire! confermano di non aver perso l’ispirazione dei giorni migliori e di aver conquistato ulteriore padronanza espressiva. Dopotutto questo è un album che mette subito in chiaro le prospettive espressive e tecniche senza alcun trucco: non solo scompare del tutto l’elettronica, ma la registrazione analogica crea un atmosfera live ancor più viscerale.
Già dalle prime note di “Work Song For A Scattered Past” è evidente che l’ottavo album della formazione è un viaggio nell’oscurità e nel buio dell’anima del blues e del jazz, e ancora una volta il risultato è eccellente.
06/03/2024