Nella cultura coreana, il concetto di han rappresenta una chiave di lettura fondamentale per ben identificarne le dinamiche, contemporanee o meno recenti che siano. Emerso a partire dalla tragica dominazione giapponese a inizio nella prima metà del Novecento, il termine è associato a emozioni che spaziano dal dolore al rimpianto, passando per il risentimento, un complicato coacervo ribadito nel secondo dopoguerra dalla divisione del paese e dalla conseguente perdita di identità collettiva, un senso di privazione che appartiene anche alle generazioni più giovani. Tante sono le definizioni date al concetto nel corso dei decenni (si rimanda a questo link per una trattazione più approfondita), resta comunque centrale il nucleo emotivo sopra caratterizzato, nucleo che si è fatto strada nel sentire comune e nell'espressività dei coreani, al punto che diverse forme d'arte lo hanno elevato a proprio principio cardine.
Alla volta del suo terzo album da bandleader, Jihye Lee esplora il suo rapporto col han in "Infinite Connections", album che esalta il suo peculiare rapporto con l'orchestra jazz, ripercorrendo la vita di sua nonna (orfana sposata giovanissima nella plumbea cappa della Corea degli anni Cinquanta) e i tormentati anni finali, con le conseguenze della sua morte a riverberarsi sulla salute della madre. Questo passaggio di testimone giunge alla compositrice con la consapevolezza di una storia condivisa da una nazione intera, diventa la forza di un disco che ha le caratteristiche di un rientro a casa, ma scopre una tempra nuova, un'acuta riflessività tale da trovare sponde nella gestione degli spazi e dell'organico, alla volta di quelle infinite connessioni che ci permettono di indagare più a fondo la nostra umanità.
Niente di più apprioprato che affrontare un simile rientro nella maniera giusta, tornando indietro ai ritmi della propria terra, scansioni secolari che non riportano a un passato idillico, piuttosto aiutano a tracciare molteplici collegamenti tra le origini coreane della musicista e la donna che Lee è oggi.
L'affermata direttrice di uno degli ensemble più luccicanti in piazza, la padrona di un linguaggio che alla perizia strumentale (comunque tutt'altro che assente) antepone la resa emotiva, l'incisività del ricordo e della narrazione: tutto ciò che è stato non va dimenticato, ha solo bisogno di trovare la giusta collocazione, un contesto che gli attribuisca il dovuto peso. Anche grazie all'intervento di star del calibro di Ambrose Akinmusire e del percussionista Keita Ogawa degli Snarky Puppy, la visione di Lee prende quota con estrema incisività, senza superflui patetismi ma con composta profondità; vedasi "Born In 1935", il modo in cui l'apertura trasla nel tempo il brano, a richiamare il buio periodo del dominio giapponese, prima che la conduzione porti l'organico verso un più corposo esercizio dal tocco swingato. "Karma" spinge la compenetrazione a un livello ulteriore, lascia che una melodia tradizionale occupi tutta la prima parte del brano, con l'intero comparto di ottoni a infiltrarsi negli spazi lasciati vuoti dalle percussioni con grande abilità di lettura.
La seconda metà si porta invece su una lettura non meno sparsa, ma col han a essere espresso attraverso una prospettiva più espansa, un gioco di traslazioni che porta il concetto ad assumere quasi un carattere universale. Non mancano poi passaggi in cui l'amore e la devozione diventano l'elemento focale (il senso di mistero che anima "Nowhere Home", la tenerezza sinuosa di "You Are My Universe"), brillano però di una luce cupa, tengono conto di un contesto che incoraggia a cogliere le emozioni con la dovuta ambivalenza.
Forti di un senso dell'orchestrazione che trova la bellezza anche negli anfratti più dolorosi, che collega il personale al generale anche attravero un sagace disegno ritmico, le connessioni individuate da Jihye Lee rivelano il frastagliato cammino di una compositrice dal bagaglio complesso, che adesso ha deciso di aprire al mondo, rivelandone tutta la complessità e lo spasimo. Anche così, come nel mitologico vaso di Pandora, sotto le nebbie di una storia travagliata si evidenzia tutta la gratitudine, la sicurezza di una donna che si trova esattamente dove deve trovarsi, al centro di una temperie creativa che coordina con grande maestria. Che il passaggio di testimone di tanto dolore sia giunto al suo ultimo ricevente?
27/09/2024