Lara Sarkissian

Remnants

2024 (btwn Earth+Sky)
elettronica, deconstructed club

Nel marasma di intrecci tra elettronica e fascinazioni da terzi, quarti, quinti e talvolta anche sesti mondi, mancava un’uscita che riuscisse a distaccarsi dal patchwork ad effetto, o meglio dal neon che si fa candela per il mero gusto di apparire “altro” da tutto. Ci ha pensato quindi Lara Sarkissian con l’atteso debutto, "Remnants", ad accendere appunto una luce diversa, autentica.

Realizzato utilizzando strumenti tradizionali di volta in volta processati alle macchine come il kanun (una grande cetra), duduk (un antico strumento a fiato), davul e dhol (grancasse) e ancora sassofono tenore (suonato per l'occasione dal famoso musicista parigino Adrien Soleiman), in "Remnants" Sarkissian si fa beffa della world-music rimasticata in salsa elettronica da mezzo universo negli ultimi dieci anni, per dar vita a un disco in cui emergono battiti in scia techno deconstructed club, che inscenano mantra esoterici come palline pazze, disseminate lungo i nove movimenti di un'opera che espone il legame familiare che la musicista ha in generale con l’Asia.

Nata e cresciuta a San Francisco, di stanza da qualche tempo a Los Angeles, Lara Sarkissian dà sfoggio inoltre del suo passato nel mondo del cinema sperimentale, in quanto regista e acuta montatrice. I suoi film e video sono stati esposti al Gropius Bau di Berlino, al Musée d'art contemporain di Montréal e al Music Center di Los Angeles. Esperienze visive a cui si aggiungono quelle musicali con etichette come Tresor, Knekelhuis, All Centre, Silva Electronics e in particolare CLUB CHAI, la label che ha co-fondato.
Sono approcci variegati che si fondono in “Remnants” attraverso un processo di decostruzione e ricomposizione ritmica, in più punti inesorabilmente vicino anche alla drum'n'bass degli anni migliori (“Miracle”), traccia dalla quale subentra anche un campione del film commedia armeno post-sovietico "Կիսանդրի" (Kisandri); mentre il suo trascorso da dj resta nell’ombra, almeno nella prima parte dell’album, salvo (ri)affiorare a galla nei momenti più scenografici, inscenati alla maniera di Pantha du Prince (quando era ancora formidabile) tipo in “Zephyr” e soprattutto nella più pulsante “far from the eye, far from the Heart”.

Al netto dei passaggi “dancefloor”, l’album rimane ancorato all’approccio ibrido di cui sopra. Non a caso, si apre con "Heaven, Or Paradise; And Hell", traccia ispirata al layout dello sharakan (o inno) armeno, "Aravot Luso", e si chiude con la quiete “tibetana” in vaghissima scia jazz esibita in “...nothing matters more than touching you although I haven't touched you yet”, da cui spunta in loop il sax di Soleimen.
Il titolo del disco, stando a quanto si apprende dal comunicato, è “un riferimento allo spostamento delle tombe da parte delle famiglie armene; l'area inizialmente ospitava oltre 10.000 khachkar (pietre crociate) finemente intagliate, una delle quali è raffigurata sulla copertina dell'album, fornita dall'archivio dello storico Argam Aivazian”.

Certo, in tutto questo sfarfallio di reminiscenze “altre” manca forse l’elemento straniante, quella goccia di follia che avrebbe reso “Remnants” davvero un unicum nel panorama elettronico sperimentale californiano. E’ un’assenza tuttavia sorvolabile, per un esordio nel complesso riuscito.

13/12/2024

Tracklist

  1. Heaven, or Paradise; and Hell
  2. Our Dead Can't Rest (Old Jugha Flute Dance)
  3. Miracle
  4. The Crane Has Lost Its Way Across the Heaven
  5. Unraveling (Interlude)
  6. Zephyr
  7. Far From the Eye, Far From the Heart
  8. What Solace Can I Give
  9. ...nothing Matters More Than Touching You Although I Haven't Touched You Yet

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