Lo ammetto! Rosalie Cunningham è un mio guilty pleasure, un’artista che dopo aver messo a tacere le più ambiziose intuizioni della band dei Purson (per non dimenticare i primi passi con la formazione post-punk Ipso Facto), ha scelto una formula rock-psych eclettica e ingannevolmente nostalgica, tanto devota all’estetica hard-rock, quanto alla forma canzone British che va dai Beatles ai Queen.
Il terzo album, “To Shoot Another Day”, è il progetto più vicino all’energia live collaudata negli ultimi anni di ritorno sui palchi post-Covid. Un progetto che coinvolge tutti i musicisti, in primis il compagno nonché produttore e autore di buona parte delle canzoni, Rosco Wilson, e un nugolo di musicisti dal curriculum rilevante: il tastierista David Woodcock, Ian East dei Gong (flauto, clarinetto e sax), Itamar Rubinger alla batteria e Ric Sanders dei Fairport Convention al violino elettrico.
Concepito concettualmente su un allegorico viaggio nel mondo del cinema, il nuovo album di Rosalie Cunningham ha tutti i pregi e i difetti di quel sottobosco psych-pop-rock dei primi anni 70, pronto a slanci al limite del buongusto - l’incursione nel cabaret di “In The Shade Of The Time” - nonché a elettrizzanti intuizioni pop-rock (l’incisiva title track) e a eleganti brani in slow-motion che saziano la sete dei fan dei vecchi Pink Floyd, come la riuscita e calibrata “The Smut Peddler”, che contiene alcuni dei migliori assolo dell’album.
Il vero problema di Rosalie Cunnigham è quello di essere diventata una paladina dei fan del metal senza essere una vera musicista metal, o una referente per tutti gli appassionati del prog contemporaneo per una serie di coincidenze che la legano alla scena neo-prog senza che ne facccia parte. Ma la sua vera forza è quella di autrice di canzoni musicalmente ineccepibili, figlie di una musica rock ai primi albori come la straordinaria “Heavy Pencil” che mette insieme Kinks e Gong, o deliziosamente gustose come la vezzosa e nostalgica “Denim Eyes”.
C’è tanta energia, nella voce di Rosalie, ma anche tanta ironia, come quella che fa da sfondo alla curiosa incursione nel glam con tanto di citazione di “Eleanor Rigby” dei Beatles e del festoso canto di “Happy Birtdhay” nella frizzante “Timothy Martin's Conditioning School”.
L’album è un susseguirsi di rimandi e improvvisi slanci stilistici. Cunningham passa dal blues-rock di “Good To Be Damned”, un brano introdotto da un riff rubato a “You Can Leave Your Hat On” e che contemporaneamente cita il tema di "Top Gun", a una delicata ballata folk-prog che offre spazio a un cinematografico flavour latin, alle suggestioni spaghetti-western di Morricone e alle colonne sonore dei film di James Bond (“The Premiere”).
“To Shoot Another Day” non solo ribadisce pregi e difetti dell’autrice, ma ne offre anche una visione artistica definitiva, grazie a un trittico che include l’elaborata e più oscura “Denim Eyes”, la cavalcata di tenebrosi e graffianti riff di “Spook Racket” e l’elegantissima “Stepped Out Of Time”. Quel che certamente non manca a Rosalie Cunnningham è quel pizzico di disincanto necessario per non prendersi troppo sul serio e dopo la curiosa incursione nel prog made in Italy di “Return Of The Ellington”, l’artista lascia nelle mani di un delizioso swing-pop (“Home”) l’ultimo atto di un album che viaggia tra hard-rock, glam e pop con la stessa disinvoltura dei Move.
14/12/2024