Il quarto lavoro di Snowdrops - dimensione principale dell’accoppiata Christine Ott/Mathieu Gabry, coinvolta anche nei progetti Theodore Wild Ride e The Cry - vede il duo francese tornare a pubblicare per l’inglese Gizeh, etichetta su cui il marchio aveva esordito un decennio fa. Le coordinate stilistiche sono poco variate da allora, ma l’affinamento costante della formula, fondata sull’ibridazione di trame acustiche e frequenze sintetiche analogiche, ha segnato con costanza l’evoluzione dei differenti tasselli proposti.
Come evidenziato dal titolo, “Singing Stones” si propone quale primo capitolo di una serie “celebrating slow time and long time”, incentrata sull’abituale combinazione di ambient, jazz, post-classica ed elettronica. Un processo compositivo consolidato, che trova nelle tessiture più dilatate la sua espressione migliore, come dimostrano le due mini-suite – eseguite più volte dal vivo nel corso degli anni - presenti nel disco. “Crossing” mette in mostra l’attitudine progressiva del progetto, offrendo una sequenza sonora complessa, straniante congiunzione tra neoclassicismo à-la Frahm e digressioni kosmische di marca Tangerine Dream, definita dal fitto quanto cangiante dialogo tra strumenti e modulazioni elettroniche. Di contro “Arctic Passage” esalta la componente atmosferica con il suo incedere carico di tensione altamente immersivo.
A guidare è il pianoforte, a iniettare mistero le risonanze delle onde Martenot magnificamente dispiegate dalla Ott, il tutto fuso in un insieme cinematico che ritrova l’incisività della viola di Anne-Irène Kempf – già presente in alcuni lavori precedenti - nella tellurica “The Weather Project” e l’apporto altrettanto valido della fisarmonica di Bartosz Szwarc, presente in ben tre tracce.
Tra omaggi al cinema (“Corridors”) e alle arti (“Ligne de Mica”), il duo rinnova in modo convincente la sua sinergia, offrendo un nuovo saggio di un’alchimia ammaliante.
06/01/2025